“I miei frammenti sono corpi inquieti di pittura proiettati nello spazio” diceva Pino Pinelli, nato a Catania nel 1938 e scomparso stamattina nella “sua” Milano
Oltre cinquant’anni di carriera e l’innata voglia di mettere in relazione la tradizione e l’innovazione, facendo “vibrare” la pittura o – come affermava lui stesso – “cercando instancabilmente e continuamente di cogliere il mistero della luce che è l’elemento principe della pittura”.
Se n’è andato stamattina, a Milano, Pino Pinelli – nato a Catania nel 1938, che nella città del nord aveva trovato la sua casa già dal 1968, quando trentenne ebbe la sua prima personale alla Galleria Bergamini. Una carriera luminosa, proprio come la sua pittura, che lo fece inserire nel Movimento teorizzato da Filberto Menna proprio come “Pittura Analitica” negli anni ’70.
Ed era proprio in quegli anni che Pinelli aveva iniziato a muovere la superficie del quadro – quasi che con le Topologie e i Monocromi volesse restituire il respiro stesso della pittura – come scrive oggi in una nota l’Archivio dell’Artista.
La riduzione delle opere in “frammenti” avvenne nel 1976, presentando piccole pitture accostate l’una all’altra, arrivando alla rottura del limite del quadro e evidenziando – invece – gli angoli, le strutture “deboli” dell’oggetto-quadro e, in aggiunta, attivando il muro, facendolo diventare parte integrante dell’opera. Da questo punto nodale prende il via la stagione della disseminazione, dove la pittura ridotta a frammenti si colloca, quasi mimando il gesto del seminatore, sulla parete, in una sintesi tra spazio e pittura che forma un unicum.
Diceva Pinelli: “L’arte è seduzione e fascinazione. È invito alla dimensione estetica dello sguardo e alla vertigine tattile del senso. […] I miei frammenti sono corpi inquieti di pittura proiettati nello spazio, che fluttuano in formazioni piccole e grandi e recano segni di una plasticità ansiosa e di una felicità visiva di un colore pulsante di vibrazioni luminose”.