La scultura ha qualcosa in comune con la popular music come il Rock? Per lo scultore padovano Corrado Marchese, sì. Ne abbiamo parlato in questa trentaduesima puntata di progetto (s)cultura
Ti definisci artista “rock”. Mi spieghi in che senso?
L’amore per l’arte, la scelta d’essere scultore, nasce da un pensiero dominante: “scolpire” della musica. L’idea è quella di combinare l’Old School scultoreo della più vera tradizione italiana con la magia della musica. Con il Rock n’Roll. Con il Reggae, lo Ska, il Blues, l’HC, il Punk Rock… Opere che si materializzano dalla fusione dei ritmi dei grandi maestri: Donatello, Michelangelo, Bernini, l’‘800… E poi Vangi, Rauschenberg, Finotti… Con i ritmi dei miei gruppi: da J. Cash, Muddy Waters a Bob Marley, D. Dekker fino ai Ramones, G.B.H., Social Distortion, Rancid… Questo concetto è alla base di ogni mio lavoro, è l’attitudine da cui scaturiscono le mie creazioni, le mie track.
Vediamo se ho capito. Ami la scultura come ami la musica e te la senti scorrere dentro, inseguendo l’origine di un certo stile come di una certa melodia, ma rimanendo, soprattutto, affascinato dal suo svolgersi, dal suo farsi “naturale”.
Esatto. Ci sono sculture che prendono vita da una canzone che mi scorre in testa, spontanee, senza limiti di materiali o dimensioni, che cerco ed elaboro proprio come scale ed accordi legati a comporre un’armonia, a dare forma ad un sentimento. Fino alla scultura in marmo, la più antica della storia. Ma riproposta oggi in chiave di LA, con gli stessi ritmi incalzanti e la stessa voglia di esprimersi e comunicare del Rock’n’Roll! 1- 2 – 3 – 4 “Hey ho, Let’s go!”.
Sei nato a Padova, ma vivi a Carrara; per uno scultore del marmo, una sorta di città ideale…
Carrara è magica, o la ami o la odi. È sicuramente la città perfetta per scolpire e per conoscere, sentire cosa siano davvero il marmo e la scultura. Ho sempre paragonato Carrara, e ciò che si fa a Carrara, al “dietro le quinte” di Hollywood. Qui ho incontrato alcuni tra i più grandi scultori della nostra epoca e la maggior parte di loro fanno gli artigiani. Nessuno conoscerà mai il loro nome, creano per altri… Ma ti assicuro che i veri scultori sono loro. D’altro canto Carrara era e rimane, nonostante gli sforzi di alcuni, un bacino estrattivo. Il marmo più bello del mondo viene da qui, ma per la scultura se ne usa pochissimo, ed in generale se ne lavora troppo poco in loco. Nonostante credo abbia numeri record in quanto a studi ed artisti, in città non c’è un mercato per l’arte. Questo devi cercarlo fuori.
Quando e come è nato il tuo interesse per la scultura?
Il mio interesse per la scultura è nato all’Istituto d’Arte dove ho conosciuto Sergio Rodella, grande scultore padovano, ormai compianto, e che meriterebbe molta più fama, il quale mi ha preso in uno dei periodi più folli della mia esistenza ed ha dato un senso alla mia vita. Con il marmo.
Hai fatto tutto da solo o qualcuno ti ha aiutato?
Non mi ha aiutato nessuno. Credo nel motto DIY, Do It Yourself.
Quanto è stato importante per te frequentare l’Accademia?
Il periodo accademico è stato importante per me soprattutto per il confronto con altre persone con il mio stesso interesse. Io poi ho avuto la fortuna di poter scegliere il vecchio ordinamento, che era molto più sensato e bello, a mio modo di vedere, dei percorsi attuali.
La tua tendenza ad accumulare in una sola opera soggetti disparati potrebbe effettivamente ricordare Robert Rauschenberg, ma ha forse il suo precedente più immediato nell’estetica barocca. Ti riconosci in questo parallelismo?
Più volte è stato accostato il mio lavoro al Barocco, e capisco il perché. Tuttavia, idealmente, mi sento più vicino al Rinascimento.
Qual è la scultura cui ti ritieni, in termini di ispirazione, maggiormente debitore?
A nessuna in particolare e a tante contemporaneamente. Però diciamo che le mie preferenze in linea di massima si fermano al secolo scorso.
Mi racconti una tua giornata-tipo?
Ho il laboratorio di fronte casa quindi mi alzo, attraverso un ponticello e mi metto a scolpire. Tutto il giorno. La scultura in marmo, per chi ancora scolpisce, richiede abnegazione, sacrificio. E tantissime ore di lavoro.
Entriamo per un istante nel tuo laboratorio. Come nasce una tua scultura? Realizzi studi, bozzetti preparatori?
Di solito realizzo un disegno, uno schizzo rapido; poi un bozzetto. Quindi passo al sasso.
Il marmo è il tuo materiale d’elezione. Usi ancora deliberatamente, come ai tuoi esordi, blocchi di risulta?
Tranne per le commissioni in cui sono obbligato, non compro blocchi. Ne conservo diversi che ho accumulato negli anni e che continuo a recuperare nei laboratori. Di solito non penso una scultura e quindi cerco il blocco: ciò che avviene è l’esatto contrario. Vedo un blocco, me ne innamoro e fantastico subito su cosa potrebbe diventare.
Tempo fa, hai scolpito a Bologna con Daniele Rossi una statua dedicata a Freak Antoni. Con quale altro autore del presente o del passato ti piacerebbe duettare?
Freak è stata una cosa a parte, un’esperienza unica divertentissima, ci vorrebbe un capitolo di un libro solo per parlare di lei. La scultura è essenzialmente solitaria, per duettare come nella musica ci vuole feeling, e tra scultori non è facile trovarlo.
Grandi maestri come Michelangelo o Bernini non erano meri esecutori: dialogavano con il potere. Pensi che uno scultore di oggi abbia davvero la possibilità di offrire, tra i mille condizionamenti dei media e del mercato, un contributo originale?
Sì certo ne sono convinto. Bisogna ragionare, studiare, sognare, lavorare molto e infine trovare il giusto interlocutore. Un uomo/donna serio di cultura non si lascia condizionare dai media. Specie ora. E questo vale per lo scultore come per chi detiene il potere, quello vero. Ammetto però che è un’impresa complicata.
Che cosa pensi del sistema dell’arte italiano?
Non lo capisco, e quando lo capisco spesso non mi piace. Credo però possa offrire mille possibilità. Il mondo dell’arte è grande e c’è posto per tutti. Basta saper trovare la propria via e il proprio mercato.
Che rapporto intrattieni con chi acquista o commissiona i tuoi lavori?
Dipende dalle situazioni. Sino ad ora sempre cordiale e sentito in quanto chi ha comprato le mie sculture le ha amate davvero.
In un mondo tubato dalla sopraffazione e dalla guerra, quale ruolo attribuisci alla scultura?
La scultura porta cultura. O almeno dovrebbe. Una sola “S” le differenzia. Nel 2013 ho realizzato Tin Soldiers, che è anche una bellissima canzone degli Stiff Little Fingers cui mi sono ispirato e che parla di guerra. Trovai nel bosco sopra casa mia un elmetto nazista e mi venne l’idea di realizzare un’opera. Creai così questa scultura in cui da quell’elmo, simbolo del male assoluto, vengono fuori le mani di un bimbo che porgono un fiore di giglio tra le macerie di ossa e i fiori recisi di cui è composto il suo mondo. Senza dilungarmi troppo, il messaggio è la speranza, sempre al di là del male. Con l’arte non si possono forse fermare le guerre, ma denunciarle e combatterle, sì. Si può regalare un pensiero felice, una carezza, un riconoscimento a chiunque abbia la sensibilità di comprendere, e incarnare, l’intenzione dell’artista.
Qual è il tuo atteggiamento verso la trascendenza, la spiritualità?
La vita mi ha costretto a piantare bene i piedi a terra e a non perdermi troppo nei pensieri, ma io sono e rimarrò sempre una gran sognatore che ama e crede nella trascendenza e nella spiritualità della vita, in tutte le loro accezioni.