Alla quinta Biennale di Coimbra vanno in scena i fantasmi, di ieri e di oggi. E lo spettro delle mancate libertà sembra cedere il passo a quello della gentrificazione
Recentemente mi è capitato tra le mani il romanzo Sostiene Pereira, di Antonio Tabucchi, divorato in poche ore. Con la Maestria dei grandi scrittori Tabucchi pubblicò, nel 1994, qualcosa che assomiglia a un romanzo esistenziale grondante di storia: quella politica e quella di una vita vissuta come un fantasma all’ombra delle dittature d’Europa, nel 1938. Il protagonista, Pereira, è un giornalista lisboeta e del fascismo che abbraccia il Portogallo, la vicina Spagna e la lontana Italia, ha la consapevolezza dell’ignavo.
Pereira vive con il fantasma della moglie, assopito nell’ordinario, senza percepire lucidamente che – nel suo profondo – qualcosa è pronto a cambiare per sempre. Come accade spesso in vita, anche quella di Pereira muterà con l’arrivo di un giovane di origini italiane, tale Monteiro Rossi, contrattato per scrivere necrologi nell’inesistente redazione culturale gestita da Pereira. Ma gli “omaggi” ai morti di Rossi sono fuori registro, inneggiano alla grandezza di Federico García Lorca – assassinato nel 1936, una delle prime vittime della guerra civile spagnola, e affossano l’immagine di Marinetti o di D’Annunzio, per esempio.
I pezzi di Monteiro Rossi però, anziché finire in un cestino, vengono conservati in un piccolo archivio creato dal Pereira in mutazione, mentre il giovane scompare in un paese – il Portogallo d’allora, che ha tra le pagine del romanzo di Tabucchi la dimensione fantasmatica del silenzio, di portinaie collaboratrici della “giustizia” salazarista, degli echi dei sordi rumori delle “lezioni” offerte per far cambiare opinione ai giovani che non abbastanza rispettavano le idee dello stato: il “Boia di Lisbona”, personaggio che attraversa il bellissimo film Treno di notte per Lisbona, diretto da Bille August e trasposizione del romanzo omonimo di Pascal Mercier si intravede a ogni pagina, con i fantasmi dell’immaginazione che inviano cartoline scure di questure, di luci al neon, di sangue.
Il Monastero di Santa Clara-a-Nova, a Coimbra, nacque nel 1649, sostituendo l’antica sede, più a valle – di Santa Clara-a-Velha, a causa delle frequenti inondazioni del fiume Mondego. Non fu un luogo particolarmente facile; nei suoi 14mila metri quadrati le Clarisse che vi abitarono erano anche donne comuni che venivano obbligate dalle famiglie a prendere i voti, per i più diversi motivi. L’ultima sorella scomparve nel 1891 e nel 1911 – su richiesta del Ministero della Guerra, l’edificio diventò sede dell’Esercito Portoghese, che restò nell’ex Monastero quasi cent’anni, fino al 2006.
Un luogo zeppo di fantasmi dunque, di ricordi, labirinto di spettri in grado di ispirare, anche, la quinta AnoZero ’24 – Bienal de Coimbra intitolata il “Il fantasma della libertà” e in corso fino al 30 giugno prossimo, sotto la cura di Marta Mestre e Ángel Calvo Ulloa.
Ideata da Carlos Antunes – Presidente del Círculo de Artes Plásticas, insieme alla Câmara Municipal e all’Università cittadina, la più antica del Portogallo, la Biennale di Coimbra ha visto la sua prima edizione nel 2015 e del Monastero ha fatto il suo quartier generale, portando tra questi saloni decine di artisti internazionali e aumentando a ogni biennio la propria presenza nel panorama delle manifestazioni d’arte contemporanea.
“Il fantasma della Libertà”, titolo preso in prestito dall’omonimo film surrealista di Luis Buñel, si sviluppa su sette sedi in città, portando a Coimbra nomi come quelli di Cildo Meireles, Jeremy Deller, Paulo Nazareth e molti altri protagonisti dell’arte di lingua lusofona, comprendenti anche partecipazioni dal Mozambico e dall’Angola. Ma quali fantasmi si vedono in scena, nell’anno del centenario della nascita del Surrealismo e nel cinquantenario del 25 aprile portoghese, data che segnò, nel 1974, la fine della dittatura di Salazar? Ce ne sono di tutti i tipi: quello dell’utopia della libertà mai perfettamente raggiunta – perché i sogni, si sa, appartengono al mondo delle idee e delle impossibilità; quello di un passato fatto di controllo e di sorveglianza, che sembra maledettamente ritornare d’attualità – in questo caso la migliore interpretazione è quella che ne fa l’artista portoghese Barbara Fonte (Braga, 1981) che in Morte de um opositor e Tratamento farmacológico da paranoia, tra gli altri, illumina la relazione che intercorre tra vita e potere, mettendo in luce le dinamiche di sottomissione, di voyeurismo, di mercificazione del corpo, in una serie di video-performance (che l’artista realizza in totale autonomia) che ricordano scene più crude del cinema di Pasolini.
Più legata ad una dimensione ambientale è la splendida installazione di Susanne Themlitz, tra le più riconosciute artiste portoghesi contemporanee, E lá dentro. Vento (2024). Realizzata al piano terra del Monastero, l’intervento è un vero e proprio ambiente composto per una sorta di canneto all’interno del quale vivono presenze, oggetti e – soprattutto, suoni che confondono i piani tra interno ed esterno. E lá dentro. Vento ricordandoci quanto anche il vento è forse la condizione atmosferica più fantasmatica che l’uomo conosca, si allinea visivamente alla Estrutura (2019-2024) dell’artista franco-portoghese Felipe Feijão, allestita in una delle Torri del Monastero.
In questo caso la struttura è una vera e propria “scultura” in progress, soggetta alle modificazioni continue della mano dell’artista e allestita in maniera differente rispetto ai luoghi che la ospitano: composta per travi di case crollate durante il terremoto di Lisbona del 1755, per una scala inutilizzabile che assume le sembianze di una sterile scultura, una scenografia, un esperimento di storia dell’architettura per un fantasma di potenzialità.
I fantasmi del passato coloniale e della Guerra sono presenti nella video-installazione de Paulo Nazareth, Antropologia do Negro (2014) dove l’artista si fa coprire la testa con una serie di teschi, mentre l’omaggio al cantautore Luís Cília, angolano di nascita, naturalizzato portoghese e per anni vissuto a Parigi, racconta la denuncia che l’artista fece, negli anni ’60, della Guerra Coloniale in Africa, componendo pezzi che danno i brividi come A bola, racconto di una partita di calcio con la testa decapitata di un prigioniero…
Ogni epoca, d’altronde, porta con se i propri spettri, e oggi il Monastero de Santa Clara-a-Nova deve combattere con il fantasma della globalizzazione travestito da “recupero”: sembra ormai sicura la cessione da parte del Municipio di Coimbra dell’antico fabbricato ad una società che lo trasformerà in un hotel a cinque stelle, nell’ambito della pianificazione per la promozione turistica “Revive”. Una petizione, a cui hanno aderito oltre 600 artisti tra cui Ragnar Kjartansson (che ha tenuto una mostra personale al Monastero nel 2023), Pedro Cabrita Reis e il brasiliano Jarbas Lopes (protagonista, tra gli altri, dell’edizione 2022 della Biennale) è stata lanciata nel 2023, ma ovviamente le proteste e le irritazioni non fermeranno il fantasma del “progresso” e il suo potere economico e gentrificatorio.
L’unica consolazione è che, chi si aggiudicherà la concessione di Santa Clara, dovrà lasciare 600 metri quadrati a disposizione della Biennale…mettendone a rischio le prossime edizioni, se non scagliandole addosso la pietra tombale: il fantasma del progresso.