Dopo Todi, dove le strofe delle canzoni amate dal gallerista appassionato di musica diventano i titoli di mostre di artisti internazionali, Giampaolo Abbondio riapre una seconda sede a Milano: PLAYLIST in via Carlo Poma 18, area incastonata tra piazza Risorgimento e Largo Marinai d’Italia, quartiere borghese tranquillo e lontano dal frastuono della movida.
Fondatore e titolare di Galleria PACK (dal 2001al 2019), Abbondio è un Fitzcarraldo dell’arte, talent scout, narratore visuale immaginifico di mostre ambiziose, cinetiche, vitali, non commerciali, spaziando tra i diversi generi e linguaggi delle arti contemporanee, che ha portato a Milano l’artista cubana Maria Magdalena Campos, l’americano Andres Serrano, il russo Peter Belyi, l’israeliana Ofri Cnaani, il macedone Robert Gligorov, il greco Miltos Manetas, il cinese Zhang Huan e puntato su tanti artisti italiani dai Masbedo a Franko B. a Matteo Basilè tanto per citarne alcuni.
La sede milanese della galleria PLAYLIST ci invita a connettere arte e musica, ragione e sentimento con “Fiori di Maggio a febbraio”, fino al 2 giugno, titolo tratto da The Birds, una canzone di Peter Hammill, scelto per la terza mostra personale di Pablo Candiloro, nato nel 1976 a Buenos Aires sotto la dittatura militare e cresciuto sotto il default finanziario dell’Argentina del 2001, con percezione auditiva ridotta fino all’età di vent’anni, causa di una anomalia congenita, pittore ipersensibile che trova nella pittura la sua dimensione spirituale, per mettersi in ascolto con l’essenza misteriosa delle cose viste e trasfigurate, come anelito verso l’infinito.
Candiloro vive a Sansepolcro, immerso nel silenzio della pittura di Piero della Francesca, da cui trae costantemente ispirazione sia nella tavolozza cromatica dai toni morbidi, sia nel rigore geometrico compositivo. In galleria trovate opere dipinte tra il 2023 e 2024, di una liricità silente e di metafisica e poetica decadenza, dalla sorprendente abilità tecnica. Incantano in particolare Sky, la serie di otto girasoli, Wind, sei dipinti di piccoli uccellini accovacciati su rami ancora rinsecchiti dall’inverno, dipinti con la delicatezza rarefatta delle stampe giapponesi, dai toni acquarellati. E, potendo farlo, vi portereste subito a casa Phoenix e Lady, opere liriche, universali in cui tutto è intimo, misterioso, essenziale quasi promessa di immortalità.
L’artista in queste opere non cita la figura umana come nelle serie precedenti, ma ci racconta il suo giardino invernale in cui le macchie di colori evocano fiori, entra in dialogo immaginario con Giorgio Morandi, stilizza la linea, precisa i contorni attraverso il colore, coglie l’essenza più intima della percezione del mondo, delle cose di un tempo immobile che non passa. Il sublime stadio melanconico di osservazione del mondo in uno spazio sospeso si trasfigura in un personale linguaggio visivo e poetico, come si osserva per esempio nei suoi girasoli solitari che giorno dopo giorno appassiscono, perdono i petali di un giallo sempre meno inteso, ma restano incantevoli nella loro decadenza, vitali per una struggente energia della fragilità, insita nell’uomo intrappolato nella propria mortale condizione.
Pablo sembra copiare dal vero una realtà immaginata, come fenomeno simbolico che contraddistingue la sua ricerca concettuale attraverso la pittura e di semplificazione formale, in cui tutto è sintesi poetica e nulla è come sembra, dall’indiscutibile qualità compositiva del tratto cromatico unico, anche nella tecnica della craquelure, ovvero piccole screpolature che si producono naturalmente o artificialmente sulla superfice di pittura rigorosamente ad olio, quasi pixel materico, o meglio crepe dell’anima strutturate nelle sue opere, soprattutto di piccolo formato per svelare l’astrazione dentro la realtà sospesa, dove tutto è silenzio, magia e meditazione sulla trascendenza alla ricerca dello spirituale nell’arte.