«Ahmedabad 1992», personale di John Baldessari sulle tecniche miste d’assemblaggio prodotte durante la sua residenza in India, sarà esposta per la prima volta dopo decenni nella capitale britannica, da Sprüth Magers, dal 31 maggio al 27 luglio.
John Baldessari (National City, 1931 – Los Angeles, 2020), pioniere del concettualismo americano, per tutta la sua carriera ha sfidato continuamente i cliché, ricontestualizzando le narrazioni storico-artistiche e rifiutando i confini tradizionali. Lo contraddistingue l’approccio distintivo a ogni disciplina, dalla pittura alla fotografia. Il suo storico notifica opere assurde, dalle complesse giustapposizioni, tuttavia accessibili. Egli attinge a un’ampia gamma di fonti e suggestioni familiari e dunque riconoscibili, quali pubblicità, cultura cinematografica, artisti del calibro di Marcel Duchamp e Ludwig Wittgenstein, e le rimaneggia.
Nel 1992 Baldessari fu invitato a vivere e lavorare nell’area di proprietà dei Sarabhai, una famiglia di industriali indiani e mecenati delle arti nel distretto di Shahibaug a Ahmedabad. Come molti mecenati e protagonisti culturali dell’India post indipendenza, si impegnarono attivamente con artisti stranieri nella costruzione di reti internazionali con l’intento di promuovere una nuova visione per il paese.
Baldessari risiedeva nella Villa Sarabhai, una casa a pianta aperta in mattoni rossi e cemento progettata da Le Corbusier negli anni ’50. Le opere multipannello che nascono dal suo soggiorno si configurano come risposta diretta al nuovo ambiente del soggiorno indiano, stimolante e travolgente allo stesso tempo, che avrà un impatto duraturo sull’opera dell’artista. Ci sono composizioni di fotografie arricchite dalla pittura; mix di immagini ritrovate; paraspruzzi in gomma dipinti da pittori di insegne locali; stampe artigianali dalla dell’ashram di Gandhi a Ahmedabad. Immerso nella cultura indiana, Baldessari ha fotografato la vivace città in un momento di cambiamenti radicali per il paese, causati dell’emergere di nuove tecnologie, dai processi di globalizzazione e dell’afflusso di Occidentali.
L’elettronica fluttuante in un cyberspazio futuristico punta verso la fioritura della rivoluzione tecnologica degli anni ’90. Lì c’è un senso di movimento e transizione riflesso nei motivi dominanti, quali i mezzi di trasporto (motociclette, biciclette, camion), animali in movimento (una mucca al trotto sul ciglio della strada o un uccello in volo), il gioco del cricket e il volo degli aquiloni. Costantemente in gioco nella serie è l’alternanza del guardare e dell’essere guardati, o osservando l’azione delle scene di strada o rappresentando lo sguardo diretto di un soggetto.
Aspetti fondamentali della pratica di Baldessari, come l’estrazione di immagini preesistenti, si perdono in un luogo visivamente spettacolare come l’India e dunque fertile di nuove estetiche. Immagini da riviste e quotidiani vengono decostruite e rimontate per sottolinearne l’originale ambiguità. Le figure vengono verniciate, complicando la lettura dell’immagine e annichilendo le precedenti informazioni. Esasperando la cancellazione, Baldessari ha prodotto nel 1995 «Removal Series».
Predominante caratteristica del lavoro dell’artista dalla metà degli anni Ottanta in poi è l’utilizzo di punti per coprire i volti, impiegati anche nei presenti lavori in cui disegna contemporaneamente l’occhio fino al punto di offuscamento e reindirizza lo spettatore verso altre parti dell’immagine. Le opere derivanti, prodotte in seguito al rientro a Santa Monica, evocano l’atmosfera e complessità dello scenario indiano attraverso la giustapposizione associativa. L’umorismo ironico che lo contraddistingue lascia il posto a una visione sorprendentemente cruda della quotidianità. Inserite in nuovi contesti, le immagini vengono ricodificate, consentendo agli spettatori di generare le proprie risposte.
La residenza in India ha fornito a Baldessari un’occasione unica non solo per osservare un nuovo ambiente, in contrasto con quello californiano, ma gli ha permesso anche di compiere un percorso di introspezione e autocritica.
La qualità contingente delle opere, l’uso vibrante del colore e l’occhio attento di un outsider rendono la serie di Ahmedabad un commento intimo su cosa significhi essere spettatori del cambiamento.