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Art Basel 2024: gli stand più curati, le opere migliori, le vendite più alte

Lévy Gorvy Dayan Courtesy of Art Basel Lévy Gorvy Dayan Courtesy of Art Basel
Art Basel in Basel 2024With Agnes Denes' Honoring Wheatfield - A Confrontation Courtesy of Art Basel
Art Basel in Basel 2024. With Agnes Denes’ Honoring Wheatfield – A Confrontation. Courtesy of Art Basel

Super gallerie e realtà emergenti si prendono la scena ad Art Basel 2024 (13-16 giugno), dove la qualità ovunque ti giri rimane altissima. Qui qualche considerazione in proposito.

C’è chi vocifera che tutto si muoverà a Parigi, che i maggiori investimenti vengono da Hong Kong, che l’aria di Miami ha un profumo particolare. Nel frattempo, però, Basilea è sempre Basilea. La regina delle fiere arriva nel centro del suo regno ed espone il meglio che l’impero dell’arte ha da offrire, anche se non è il meglio che abbia mai offerto. Impattanti le dimensioni colossali dell’evento, con 287 gallerie divise in quattro sezioni (Galleries, Statement, Feature, Unlimited), altissima la qualità media della proposta, seppure priva di opere davvero clamorose.

Emblematico in tal senso che il lavoro più prezioso sia Murnau mit Kirche II (1910) di Wassily Kandinsky, di Landau, che recentemente abbiamo però visto (forse troppo) spesso: prima in asta da Sotheby’s nel 2023 (45 milioni di dollari) e poi a Tefaf a marzo, dove è andato invenduto. La richiesta, che si aggira intorno ai 60 milioni di dollari, per ora non è stata soddisfatta da nessun collezionista. “Riconosciamo che il mercato dell’arte sta attraversando un periodo di ricalibrazione“, ha detto Noah Horowitz, CEO di Art Basel, prendendo atto che “al giorno d’oggi c’è chiaramente un certo grado di cautela“.

Nessuna propensione a spese folli da parte di chi compra, dunque poche proposte folli da parte di chi vende. Spazio allora, almeno nelle intenzioni, a compravendite di medio livello, che Basel significa comunque parlare spesso di scambi milionari, come abbiamo raccontato nel report delle prime vendite. In questa ampia fascia, che non scende mai sotto i 100 mila dollari e solo in un caso, Sunflowers di Joan Mitchell da Davide Zwirner, è arrivata a 20 milioni, la scelta sicuramente non manca.

Pace Gallery

Pace Gallery. Courtesy of Art Basel

Dalle gallerie blue-chip ci si aspetta sempre qualcosa in più: una sorpresa, un guizzo inaspettato, un colpo di teatro. A consegnarcelo in quest’edizione di Art Basel è Pace Gallery, che lungo il parquet beige del suo stand ha disposto un Dubuffet versione divano (Banc-Salon), in vendita ma anche a disposizione dei collezionisti, che qui trovano di certo la migliore seduta della fiera. Una posizione da cui osservare le altre opere esposte, realizzate da grandi artisti del XX secolo come Alexander Calder, Adolph Gottlieb, Agnes Martin, Louise Nevelson, Kiki Kogelnik e Pablo Picasso.

White Cube

Julie Meheretu, Untitled 2 (1999)
Julie Meheretu, Untitled 2 (1999)

É il primo che si nota, è il primo che rimane in mente, è il primo che si è venduto. Untitled 2 (1999) di Julie Mehretu è tra le opere più interessanti di White Cube e dell’intera fiera. Complice la mostra che Palazzo Grassi di Venezia ha dedicato all’artista etiope-americana durante la Biennale, l’attenzione nei suoi confronti è più viva che mai, tanto da trasformarsi in una vendita da 6,75 milioni di dollari. In campa astratto segnaliamo anche Clowns travel through wires (2013) di Mark Bradford, già venduto per 4,5 milioni di dollari. Venduto anche The Storyteller di Jeff Wall (2,85 milioni di dollari). Ma sono tante le opere che rubano l’occhio: da Hellter Fucking Skelter (2001) di Tracey Emin a un Untitled (2009) di David Hammons, da Das Hemd ist nicht gelb (2012) di Georg Baselitz a Extolment (2007) di Damien Hirst.

Acquavella Galleries

Mandoline à la partition (Le Banjo), che Georges Braque ha realizzato nel 1941, è probabilmente uno dei migliori pezzi della fiera e ad esposto è Acquavella. Incastri di forme e colore sprofondati nella complessità cubista, che non spaventa ma intriga. A creare qualche timore, semmai, la richiesta di 18 milioni di dollari, comunque giustificata.

Hauser & Wirth

Hauser & Wirth. Georgia O’Keeffe, Sky with moon, 1966
Georgia O’Keeffe, Sky with moon, 1966

Se alcune gallerie raramente mancano in queste selezioni è perché difficilmente sbagliano un colpo. Cosa dire, ad esempio, ad Hauser & Wirth? La galleria ha venduto subito un disegno – Untitled (Gray Drawing (Pastoral) – del 1946-47 di Arshile Gorky per 16 milioni di dollari e una grande tela di Philip Guston, Orders (1978), ceduta per 10 milioni di dollari. Ma a rimanere più impressa è probabilmente Sky with moon (1966) di Georgia O’Keeffe. Un dipinto quasi invisibile, ispirato a una visione aerea, in cui una nuvola rosa palpita flebile in un cielo infinito e sorregge una candida luna piena. Prezzo di vendita 13.5 milioni di dollari.

Lévy Gorvy Dayan

Lévy Gorvy DayanCourtesy of Art Basel
Lévy Gorvy Dayan. Courtesy of Art Basel

Lo stand è di quelli che rimangono impressi, merito soprattutto di un allestimento che proietta verso l’esterno le magnetiche labbra rosse di Tom Wesselmann, rese ancora più erotiche dal fumo che dalla sigaretta si disperde tra le dita smaltate. Un dipinto da 6 milioni di dollari che attira più di un’insegna. Al suo interno si distinguono poi un autoritratto scultoreo di David Hammons (composto principalmente da un appendiabiti) dipinti di Francesco Clemente e Michelangelo Pistoletto, così come da un vaso di ceramica di Lucio Fontana dedicato alla corrida che vale quasi 6 milioni di euro.

Di Donna

Di Donna. Courtesy of Art Basel
Di Donna. Courtesy of Art Basel

Centro di gravità dello stand di Di Donna è senza dubbio Scramble: Descending Orange Values / Descending Spectrum (1977) di Frank Stella, i cui quadrati concentrici assorbono al suo interno i collezionisti. Qui trovano due giostrine di Alexander Calder, un acquerello di Paul Klee intitolato In Stellung (In Position), del 1939, e le Le Traité du paysage di René Magritte, un paesaggio del 1943 che trasforma un classico viale alberato in uno scenario lisergico e antinaturalistico.

Jeffrey Deitch

Jeffrey Deitch. Installation photos by Stefan Altenburger
Jeffrey Deitch. Installation photos by Stefan Altenburger

Jeffrey Deitch ha concepito il suo stand come fosse una vera e propria galleria. O, ancora meglio, come una casa in cui i visitatori sono invitati a fare visita all’arte. A favorirlo la posizione, al secondo piano, con ampie finestre alle spalle che lo riempiono di luce naturale. Ma a fare la differenza è lo “spazio abitativo” progettato da Charlap Hyman & Herrero e ispirato all’eccentrica residenza del poeta e mecenate surrealista Edward James (1907-1984). Ai lati pareti trapuntate, sotto i piedi un tappeto verde miliardo, nel mezzo l’iconico divano Mae West Lips. La proposta include dipinti, stampe e sculture di numerosi artisti rappresentati dalla galleria, tra cui Nina Chanel Abney, Mario Ayala, Tyler Ballon, Judy Chicago, Myrlande Constant, Karon Davis, Urs Fischer, Dominique Fung, Alfonso Gonzalez Jr., Alteronce Gumby, Haas Brothers, Keith Haring, Ella Kruglyanskaya, Claes Oldenburg, Bony Ramirez e molti altri.

Jack Shainman

El AnatsuiCommercial Avenue, 2014
El Anatsui. Commercial Avenue, 2014

Jack Shainman presenta uno stand dinamico e armonico, dove pittura e scultura si alternano e dialogano con efficacia. Come nel caso di Commercial Avenue (2014) di El Anatsui, una scultura in legno e alluminio dipinti che ripropone le texture terrose a cui l’artista ghanese ci ha abituato, esposta al fianco di No Reasons Left To Like You di Lynette Yiadom Boakye, che come al solito si destreggia nella creazione di scenari quotidiani, ambientati però in atmosfere scure, dove l’artista è chiamata a calibrare i toni in maniera estremamente precisa. Nel gruppo, tra le altre, anche opere di Toyin Ojih Odutola (in mostra in questi giorni alla Kunsthalle Basel), Nick Cave, Kerry James Marshall.

Vitamin

Hao Liang, The Labyrinth of Minotaur, 2023-24
Hao Liang, The Labyrinth of Minotaur, 2023-24

Vitamin propone uno stand labirintico, che conserva le opere strette nel suo grembo. Superato il corridoio d’anticamera e ottenuto l’accesso al quadrato espositivo, ci si trova di fronte a una serie di piccole e preziose opere di Hao Liang. Si tratta di paesaggi, di accenni di ritratti, in cui l’artista unisce tecniche, temi, motivi e convenzioni della pittura tradizionale cinese con una sensibilità contemporanea e cosmopolita. Con delicatezza di seta intreccia Hao Liang intreccia insieme influenze apparentemente divergenti come la poesia classica, la letteratura moderna, la teoria cinematografica e l’arte moderna.

Offer Waterman

Offer WatermanCourtesy of Art Basel
Offer Waterman. Courtesy of Art Basel

Elegante e denso al tempo stesso, lo stand di Offer Waterman affianca le opere di Frank Auerbach, Howard Hodgkin, William Turnbull, Magdalene Odundo, Hans Coper, Henry Moore, Lucie Rie, Michael Armitage e soprattutto di David Hockney, di cui sono presenti otto opere su carta degli anni ’60 e ’70, tra cui Peter on the Balcony del 1971. Delicatezze che contrastano armoniosamente con il blu pastoso e violento di Auerbach, disposto su un trittico che domina lo spazio e smuove l’animo dei collezionisti.

A Arte Invernizzi, Tucci Russo e P420

A arte Invernizzi, ArtBasel 2024, ph. Mattia Mognetti, Milano
Tucci Russo, stand (B10 – Hall 2.0) ad ArtBasel 2024

Tra le italiane, invece, da segnalare le partecipazioni di A Arte Invernizzi (Milano) con uno stand rarefatto e dedicato a François Morellet, Günter Umberg, Philippe Decrauzat, ma soprattutto con una parete di pitture della serie Spazio Totale di Mario Nigro, iniziate nel 1952 e in anticipo rispetto ai tempi e alle poetiche dell’optical e dell’arte cinetica. Prezzo richiesto 250mila.
Bello stand anche per Tucci Russo (Torre Pellice), che gioca in casa portando in scena tra gli altri due artisti tedeschi: Thomas Schütte, con due Männerköpfe, e Christiane Löhr, con un delicatissimo lavoro in fibra vegetale.
Infine P420 di Bologna elimina lo stand ma sceglie solamente Unlimited come piazza: qui troviamo la grande sala dedicata a Francis Offman, artista nato in Ruanda nel 1987 che a Basilea ha un lavoro ben suggestivo che intreccia pittura e installazione, tessuto, una Bibbia e altri libri.

Francis Offman, Senza titolo, 2018-2022, acrilico, inchiostro, carta, fondi di caffè, cotone e gesso Bolognese su tessuto, 1 Bibbia, libri con fondo di caffè su calibri, cm.314,5×520 (tela), installazione di dimensioni variabili, Installation view, Art Basel Unlimited 2024, P420, Bologna, IT e Herald St, London, UK. Courtesy P420, Bologna

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