Magnifica presenza è il titolo della mostra personale di Arianna Zama (1998, Lugo di Romagna), visitabile fino al 19 luglio presso lo spazio indipendente Marsaladue di Bologna.
La mostra Magnifica presenza presenta i risultati della ricerca pittorica di Arianna Zama risalenti all’ultimo anno di lavoro e in particolare alla residenza presso lo spazio Marsaladue. Le opere esposte, una decina di tele di piccolo formato, sono infatti state realizzate tra il 2022 e i primi mesi del 2024.
La mostra, che si inserisce nel contesto del festival Opentour 2024, promosso dall’Accademia di Belle Arti di Bologna – ABABO, nasce dalla collaborazione con il fondatore di Marsaladue Antonio De Falco e la sottoscritta.
L’allestimento è intimo e contenuto: le creature di Zama dialogano tra loro, costruendo nuove suggestioni. Occhi, sguardi e frammenti ordinati come in una sorta di geografia immaginaria.
Di seguito il testo critico scritto dalla sottoscritta e pubblicato in occasione dell’apertura della mostra.
Le pareti dello studio di Arianna Zama accolgono gente sotterranea, abitanti di luoghi che non ci hanno mai visti, alimentati da un instancabile ribollire di presenze fantastiche che sono fantasmi. Nel testo dell’artista Appunti per una tassidermia gentile leggo: “I muri della camera sono pareti di uno stomaco contratto. Vomito”.
Come una speleologa, Zama si addentra e scava nelle viscere di un universo che non è nostro, ingombro del non-detto e del non-visto, nell’intento di far riecheggiare storie che si organizzano e vivono in un ritrovato protagonismo. La pratica dell’artista si nutre della marginalità di storie non narrate e si alimenta continuando a porsi domande.
Pezzi di corpi che sono reliquie, reperti che vivono nel rischio di non essere raccontati, in quella che Heidegger chiama “produzione della terra” (A. Di Benedetto, Prima della parola. L’ascolto psicoanalitico del non detto attraverso le forme dell’arte, Milano: Franco Angeli, 2000) che viene dalla terra e si fa essa stessa terra, accedendo alla rappresentazione reale. Eppure, ciò che risiede nella poetica di Zama porta con sé una lettura ultima che è impenetrabile e resiste al discernimento, quello che in psicoanalisi viene chiamato “ombelico del sogno” (S. Freud, L’interpretazione sogni, a cura di R. Colorni, trad. di E. Fachinelli, H. Trettl, Torino: Bollati Boringhieri, 2016). Il motore che traghetta il messaggio artistico da dentro di sé a dentro chi guarda; ma chi guarda è anzitutto scrutato.
Con gesto morbido e sicuro l’artista produce paesaggi domestici, che probabilmente non sanno di abitare il sé, configurandosi come fantasmi partoriti da processi difensivi.
Dandosi il diritto di essere imperfetta e ammettere la vita. E la morte. E l’amore.
Zama dipinge avvalendosi di un lessico che parla di cose, persone e personaggi spesso non vissuti o vissuti a metà. Prendendo ispirazione soprattutto dalla letteratura, ma anche da suggestioni teatrali e cinematografiche, si tratta di figure che non sono nate che in forma embrionale, appena abbozzate, se non meramente citate, negli orli di storie altrui. Figure magiche che, nel venire al mondo, raccontano finalmente la loro storia. Si liberano attraverso il tempo del mondo e vivono nelle tele che, per il loro formato e per il tipo di fruizione che prevedono – ravvicinata come in quel momento che precede di pochi attimi un bacio – ricordano le edicole votive. Esse sono occupate dalla fisicità di corpi nudi, magici e duplici, oggetti del desiderio sempre mutilati. O di un desiderio mutilato. Presenze sgradite che sono frazioni del sé, fantasmi che qui vengono esperiti, stressati, e resi fisici nella pittura.
Non è senza pena che l’artista indaga e distingue la propria cifra: un’alternanza di ritmi che sfiorano la realtà, scanditi da scenografie che ci fanno piombare in ambienti indefiniti e stretti, dove è inevitabile il confronto con il sé.
Come quando apriamo gli occhi nel buio e si rende necessaria l’attesa, il tempo che ci consente di vedere meglio, la chiave della ricerca di Zama sta in ciò che trema, sfocato. Ciò che si teme e si allontana, che si schiva come schiviamo la notte, come schiviamo la morte.
Ma siamo noi: quelli di Zama sono angoli di verità che, in quanto luoghi in cui la mente si ferma, se ascoltati spiegano il vantaggio del tormento. Il vantaggio del tormento.
Sono corpi che detengono un tesoretto di segnali emotivi. Organismi che ci chiedono chi sono? Cosa sono? E ogni risposta innesca una nuova domanda, risolvendo un fantasma e disegnandone un altro.
I nostri occhi leggono una stanza di corpi che mangiano sassi, che pisciano su piante, che leggono carte, che ci guardano minacciosi con nasi-falli. Corpi sporchi, banditi che scompaiono dalla realtà. Corpi veri.
Gente sotterranea mai nata, mai stata amata prima. Soggetti che abitano la notte ed entrano a far parte della cartografia pittorica di Arianna Zama.
In Cent’anni di solitudine Márquez scrive: “La ricerca delle cose perdute è intorpidita dai gesti consuetudinari, ed è per questo che costa tanta fatica trovarle”.
Info utili
Magnifica presenza
mostra personale di Arianna Zama
a cura di Eleonora Savorelli
Marsaladue
Via Marsala 2, Bologna
Fino al 19 luglio 2024
Visitabile tutti i venerdì dalle 15 alle 20
oppure su appuntamento contattando info@marsaladue.it