Quando riusciremo a pensare come una montagna, come suggerisce l’ecologo e ambientalista americano Aldo Leopold nel 1949, ispiratore della biologia moderna? A Bergamo ci pensa un intero ciclo espositivo
Dall’espressione coniata da Aldo Leopold “Pensare come la montagna” nel suo libro A Sand County Almanac (1949), prende forma l’ambizioso progetto di un ciclo di eventi 2024-25, promosso dalla GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo. Il progetto di cultura diffusa nelle valli orobiche della provincia di Bergamo vede il territorio e la comunità coinvolti attraverso performance collettive e laboratori creativi condivisi nello spazio pubblico, diventando così l’opera d’arte totale connessa agli elementi dell’ecosistema.
“Pensare come una montagna” è un progetto unico nel suo genere a cura di Lorenzo Giusti, Sara Fumagalli, Marta Papini e Valentina Gervasoni, che coinvolge, oltre alla GAMeC, diverse località del territorio della provincia di Bergamo, con l’intento di creare condivisione e conoscenza del patrimonio locale attraverso esperienze artistiche differenti, volte a sensibilizzare e, si spera, a educare il pubblico al rispetto dell’ambiente per il benessere della collettività.
Il programma è ampio e prevede il coinvolgimento, in due anni, di venti artisti o gruppi di artisti attivi in diversi contesti geografici e culturali nella realizzazione di eventi diffusi condivisi con le comunità locali, che ci invitano a pensare, agire e concepire il nostro essere come ‘corpo collettivo’, solidale con altre specie animali e vegetali.
I primi artisti protagonisti del biennio 2024-2025 sono Sonia Boyce, Mercedes Azpilicueta, Chiara Gambirasio, Lin May Saeed, e Studio Ossidiana in collaborazione con Frantoio Sociale, impegnati a Bergamo, Castione della Presolana, Dalmine e Brembate (fino al 22 settembre 2024).
Alla GAMeC, l’espressione di Leopold (1887-1948) indica un altro modo di guardare e vivere l’ambiente che ci circonda con uno sguardo incantato sulla meraviglia della Terra, per apprezzare la profonda interconnessione degli elementi dell’ecosistema che noi umani abbiamo violato, compromettendo l’equilibrio dell’intero pianeta, dove continuiamo a sentirci padroni e non ospiti o coinquilini con le altre specie animali e vegetali, come invece dovremmo.
La fascinazione per la Terra incomincia nello Spazio Zero della GAMeC, via San Tommaso 53, dove fanno capolino figure fantastiche tra cani, formiche, pagolini, pantere, iene, scimmie, formichieri e creature ibride tra animale e uomo di Lin May Saeed (1973-2023), scomparsa per un tumore al cervello lo scorso 30 agosto, appena cinquantenne. Le sue creature di una specie evoluta, scolpite per lo più in polistirolo bianco, materiale leggero e maneggevole derivato dal petrolio, ma che può rivelare qualcosa sulla fragilità e fallibilità umana, ci interrogano su temi della sostenibilità e collettività.
Iconografia fantastica di una iperspecie in sculture in polistirolo
L’artista, nata in Germania di origini ebraiche e padre iracheno, ha dedicato tutta la propria ricerca al mondo delle relazioni tra animali, umani e non umani. Nei suoi bassorilievi e sculture “primitive”, ispirati ai miti dell’antica Mesopotamia, come l’epopea di Gilgamesh, o alla tradizione cristiana e islamica, in polistirolo, così come nei disegni, dipinti e anche nelle opere in acciaio, rappresenta la solidarietà tra le differenti forme di vita che abitano il nostro pianeta.
Saeed, attivista per i diritti degli animali, nelle sue “opere di speranza”, come lei stessa le definisce, intreccia storie tra uomo, animale e vegetale, creando una iperspecie evoluta, mescolando mitologia, fiabe e attualità. Vi affascineranno le sue narrazioni interculturali, viaggi nel tempo che attraversano diverse storie, strambe ma tenerissime creature ieratiche dai tratti primitivi, echeggianti quelli dell’arte rupestre.
Gli animali di Saeed ricordano per essenzialità formale quelli dell’espressionista Franz Marc (1880-1916), figure ibride di umani e animali issati in posizione frontale, come si vede nell’iconografia dell’arte egizia. Tutto il lavoro di Saeed è incentrato su un processo di zoomorfizzazione dell’essere umano, ribaltando la tradizione favolistica in cui si vede sempre l’animale assumere aspetti antropomorfici.
L’artista, con leggerezza, attraverso la mitologia e la fiaba, ci invita ad abbandonare la nostra prospettiva antropocentrica e a osservare per imparare la capacità di coesistenza e solidarietà tra gli animali. Già sappiamo che dovremmo imparare moltissimo dalle api e dalle formiche, ma anche dalle piante, da cui dipende l’intera vita animale, uomo compreso. Le piante, secondo la definizione di Kliment Timirjazev, botanico russo dell’inizio del XX secolo, sono l’anello che lega il Sole alla Terra. Grazie alla fotosintesi, i vegetali riescono a trasformare l’energia luminosa del Sole nell’energia chimica (zuccheri), permettendo agli animali, uomini inclusi, di vivere e moltiplicarsi. Le sculture e i bassorilievi in scala reale di Saeed non sono oggetti, bensì presenze totemiche dotate di una psicologia e caratteri somatici autoreferenziali, che occupano tutto lo spazio espositivo. Loro sono lì, immobilizzati nel bianco delle pareti e del polistirolo, avvolti dal mistero e nel silenzio, che sembrano interrogarci su come un domani potremmo vivere insieme in una post-umanità solidale.
Accompagna questa mostra Fables, una pubblicazione tascabile edita da Mousse Publishing, che raccoglie sei fiabe tradotte in lingua inglese, italiana, araba e ladina, originariamente scritte in tedesco da Lin May Saeed all’inizio degli anni Duemila, illustrato con una selezione di disegni su carta dell’artista. Il libricino è introdotto da un testo di Lorenzo Giusti, direttore della GAMeC di Bergamo.
Sempre nell’ambito del progetto “Pensare come una montagna”, e in relazione con la nona edizione della Biennale Gherdeina curata da Lorenzo Giusti, la retrospettiva di Lin May Saeed sarà presentata in contemporanea a Bergamo e a Ortisei, con un percorso espositivo in due sedi che fornirà una panoramica esaustiva del suo lavoro incentrato su una dimensione narrativa tra mito, fiaba e leggenda.
Sonia Boyce: Benevolence, Sala delle Capriate, Palazzo della Ragione, Bergamo Alta
L’altra importante mostra, aperta al pubblico e a ingresso libero, inclusa nell’ambizioso progetto di arte relazionale “Pensare come una montagna”, promossa da GAMeC e allestita nella straordinaria cornice di Palazzo della Ragione, nel cuore di Bergamo Alta, borgo storico tra i più belli d’Italia, è l’installazione sonora composta da sei “monumenti visivi”, ovvero maxi schermi di Sonia Boyce (Londra 1962).
Il nuovo progetto site-specific pensato per la Sala delle Capriate dall’artista inglese, insignita del Leone d’Oro alla Biennale del 2022 per la sua partecipazione col Padiglione Britannico con l’installazione multimediale Feeling Her Way, a Bergamo ha ipnotizzato cittadini e turisti con Benevolence.
Ha dichiarato l’artista: “La Benevolenza, che dà il titolo al mio lavoro, è stata alla base del progetto e della performance, che si basa sull’idea di dare e ricevere ed essere altruisti, in qualche modo. Il concetto di essere benevolo, di essere uomini con gli uomini e uomini con i non uomini, penso che sia una questione molto pertinente per noi adesso. Quindi è anche per questo il motivo per cui quest’opera ha una tale risonanza.”
Si tratta di un’installazione sonora concentrata su tematiche relazionali che coniuga ricerca estetica, conoscenza del territorio e valore politico della partecipazione e della collaborazione collettiva, attraverso lavori che attingono dalla memoria “acustica”. Il progetto concepito per Bergamo ha portato l’artista a conoscere in primis il territorio e la sua storia, per poi concentrare la sua attenzione sui canti popolari della tradizione italiana, e in particolare su quelli sulla resistenza.
Boyce ha attivato una collaborazione con tre studenti dell’Istituto Superiore di Studi Musicali “Gaetano Donizetti” di Bergamo, che l’anno scorso sono stati inviati a improvvisare canzoni popolari nel cuore della città Alta. L’artista e gli studenti selezionati hanno puntato su Bella Ciao, diventato inno simbolico di resistenza globale transgenerazionale. L’immortale brano, che unisce il mondo intero nella lotta di difesa per la libertà, è protagonista insieme ad altri due brani meno noti: Testamento del Capitano e Monte Pasubio. Le riprese del video si sono svolte in Piazza Vecchia, nell’adiacente Biblioteca Civica Angelo Mai, e in particolare nella Sala Tassina, storicamente destinata alle riunioni del Minor Consiglio del Comune, e nell’Archivio della torre libraria San Michele all’Arco, luogo di culto sconsacrato dal 1955. Sono le volte ornate della Sala Tassina, con affreschi seicenteschi con grottesche e allegorie delle virtù dei buoni governanti di Pietro Baschenis, a ispirare il titolo dell’opera di Boyce. Il soggetto del video è la ‘benignità’, incarnata da una donna in procinto di allattare degli animali, che ha ispirato l’artista.
Storia, architettura, scuole, persone e cultura di Bergamo culminano nell’atto di cantare Bella Ciao affacciati ai balconi di Palazzo della Ragione di Piazza Vecchia. È anche un esplicito riferimento al periodo del lockdown, durante il quale le persone intonavano canti dalle proprie abitazioni per sostenersi reciprocamente in un momento difficile. Questa performance ha coinvolto i passanti e la città a tutto tondo, ed è a favore di una creatività collettiva, in cui il canto rappresenta un gesto di altruismo ed empatia, condividendo uno spazio intersoggettivo. Il canto per l’artista è diventato un presupposto per riflettere sul valore e significato della musica nel tempo, legato a nozioni di differenza, appropriazione interculturale e transnazionale, che può dividere o unire, a seconda della sensibilità soggettiva, cultura, tradizioni e ideologie.