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SSSSSSSSSSTHUUKHH… Ripeti dopo di me. Suoni della guerra alla Biennale

Open Group, Repeat after Me, alla 60esima Biennale di Venezia Open Group, Repeat after Me, alla 60esima Biennale di Venezia
Open Group, Repeat after Me, alla 60esima Biennale di Venezia
Open Group, Repeat after Me, alla 60esima Biennale di Venezia

Repeat after Me, lavoro presentato dal Collettivo ucraino Open Group alla 60esima Biennale di Venezia, è ospitato dal padiglione polacco

“Stranieri ovunque” è un tema che mette a fuoco l’esplorazione delle tensioni tra categorie e soggetti che sono considerati bizzarri o estranei. Repeat after Me, il lavoro presentato dal Collettivo ucraino Open Group, alla 60esima Biennale di Venezia, presso il padiglione polacco, risponde perfettamente al tema proposto dal curatore della biennale, Adriano Pedrosa. Il fatto che il collettivo ucraino esponga presso il padiglione polacco è esso stesso un elemento simbolico. E non è la prima volta che il Padiglione Polonia ospita artisti di altre nazionalità. Infatti, nel 2011, aveva ospitato l’opera dell’israeliano Yael Bartana e nel 2017 l’opera dell’artista americana Sharon Lockhart, realizzata in collaborazione con un gruppo di giovani donne del centro di socioterapia per la gioventù di Rudzienko.

Ed è notevole che questo tipo di attività sia ora parte del circuito dell’arte internazionale e della Biennale di Venezia”, sottolinea la curatrice del progetto, Anna Theiss. D’altra parte l’Ucraina non è ancora riuscita ad ottenere un padiglione autonomo e, finora, è sempre stata ospite di altre strutture nazionali nella laguna. Fa specie ricordare che la costruzione del Padiglione Russo, nel 1914, fu pagata dal magnate ucraino Chanenko. A quell’epoca l’Ucraina era ancora parte dell’impero russo.

Azioni dolorose e irrazionali

I visitatori che entrano nel padiglione polacco devono attraversare una pesante tenda di metallo. Dopodiché si ritrovano in una stanza dove, da un lato sono posti 2 schermi e dall’altro lato è allestito un karaoke-bar militare, con sedie, cuscini e microfoni sparsi nella stanza. Come in un bar qualsiasi, il visitatore della mostra può sedersi, parlare con altri visitatori oppure prendere il microfono e partecipare attivamente alla performance, ripetendo i suoni e le parole che appaiono sullo schermo. E quando lo fa, si innesca uno strano meccanismo di immersione nei fatti della guerra e la percezione di essere coinvolti in azioni dolorose e irrazionali.

 

Open Group, Repeat after Me, alla 60esima Biennale di Venezia
Open Group, Repeat after Me, alla 60esima Biennale di Venezia

Il video consiste in una serie di frammenti di interviste fatte ad anonimi civili che, attraverso la loro memoria, ricreano i suoni scelti della guerra. I protagonisti di entrambi i film dapprima introducono se stessi e descrivono l’arma che è rimasta più forte nella loro memoria. Poi li vediamo cantare e recitare i suoni degli elicotteri, delle sirene di emergenza e di varie armi. Guardiamo negli occhi alcune persone mentre cercano di cantare e riprodurre i suoni della guerra. Non ci sono effetti speciali né telecamere nascoste, soltanto le voci delle persone che imitano i suoni di bombe che cadono e esplodono, di varie armi e di aerei che sorvolano le loro teste.

Riflessioni critiche

Ripetere con loro i suoni della guerra è davvero un’esperienza percettivamente toccante. Repeat after me è stato prodotto in un campo di rifugiati, vicino a Lviv, durante i primi mesi della guerra in Ucraina. L’Open Group si è formato nel 2012 e, attualmente, è formato da Yuriy Biley, Pavel Kovach e Anton Varga. Dice Yuriy Biley: “Sarebbe difficile per noi fare arte priva di profonde riflessioni critiche sulla realtà che ci circonda. E dal 2014, in Ucraina, sono in corso 2 guerre per l’annessione della Crimea e del Donbass”. Ma i suoni della guerra possono essere gli stessi, per ogni conflitto, in ogni parte del mondo.

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