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Storie d’arte contemporanea e di italiani, in Argentina

Barro és 10, vista della mostra, courtesy Barro
In questa ultima puntata del nostro focus da Buenos Aires non solo vi portiamo per gallerie e musei, ma anche in qualche spazio meno scontato, dove l’arte “risiede”

La galleria Barro, in prima linea tra le gallerie latine con una reputazione globale, conquistata a suon di partecipazioni in fiere di primo livello – tra cui ArtBasel – e i cui artisti hanno costruito alcune delle migliori carriere degli ultimi tempi, come Gabriel Chaile, Mondongo e La Chola Poblete, ha compiuto quest’anno dieci anni e nel suo capannone a La Boca – estremo sud della Città Autonoma di Buenos Aires – ha festeggiato con un grande party durante il week end di arteba e con una collettiva che, appunto, riunisce tutti i propri cavalli vincenti ma, sinceramente, ci aspettavamo qualcosa di un po’ più “rivoluzionario” che non un congiunto di opere a formare una collettiva che, seppur densa, ha il sapore di un dejà-vu. Continuando tra La Boca e San Telmo, c’è una vera sorpresa: è la W Galería, che ospita nei suoi tre enormi spazi su tre piani una personale – anzi, una “museale” – dell’artista argentina Marcia Schvartz. Nata nel 1955 ed esponente di punta della generazione che, anche in Argentina, ritornò alla pittura all’inizio degli anni ’80, è stata anche l’artista rappresentante l’Argentina alla Biennale di Venezia del 2011, oltre ad aver esposto all’Hammer di Los Angeles, alla Pinacoteca di San Paolo, alla Biennale di Cuba e, in Italia, alla galleria Kaufmann-Repetto di Milano.

Marcia Schvartz, dettaglio della mostra “Soy otras” da W Galería

“Soy otras”, titolo dell’esposizione, abbraccia un corpus di opere che vanno dall’installazione ambientale, alla pittura, dalle “maquette” ad una serie di intersezioni tra generi, comprendendo performance, video, il tutto mettendo in luce una visione tagliente, ironica, caustica della realtà e della società dei consumi, del denaro, della sessualità e della politica, chiedendosi sempre – anche in relazione alla storia argentina – secondo il testo critico di Roberto Amigo, che accompagna la mostra “Come è stato possibile”. E nei ritratti psicologici della volontà di potere, di una guerra di logoramento con l’esistenza e la storia rivediamo storie che sono di tutti, nel continuo alternarsi di umana bassezza e potere catartico della rappresentazione.
Non può mancare una visita, a pochi passi da W, una visita al Museo de Arte Moderno di Buenos Aires, che oltre a mettere in scena la propria collezione permanente in un bellissimo allestimento intitolato “Moderno y metamoderno”, composta dei nomi storici dell’avanguardia argentina, da Antonio Berni a Luis Felipe Noé, Enio Iommi a Julio Le Parc e Léon Ferrari, attualmente ha in scena anche diverse mostre temporanee tra cui “Arte es educación”, secondo la direttrice Victoria Noorthoorn “un progetto necessario per affermare il valore pubblico del museo – che vive sostenuto dal Ministero della Cultura del Governo della Città di Buenos Aires – che da 68 anni si dedica alla ricerca teorica e pratica e alla valorizzazione dell’arte argentina del suo tempo, lavorando fianco a fianco con gli artisti, che sono la ragione d’essere di questa “casa dell’arte”. Dall’altro, la volontà di avvicinare questo insieme di ricerche accumulate in tante decadi a ciascuno dei nostri visitatori, per dare, così, visibilità al sapere”.

Dibujar es criar mundos, al Museo de Arte Moderno

Ma l’attenzione, qui, è richiamata specialmente per una esposizione che scopriamo al piano interrato del museo, e che già dal titolo rivela un aspetto decisamente poetico: “Dibujar es crear mundos”. Seguendo il carattere progettuale, e talvolta effimero, del disegno, la sala è un intervallarsi di grandi e piccole opere, scandite da una serie di dichiarazioni poetiche degli stessi artisti che vengono riportate direttamente sul muro o a pavimento, piccole onde di lettere che accompagnano le opere di Josefina Alen, Nicanor Aráoz, Viviana Blanco, Valeria Conte Mac Donell, Alfredo Dufour, Cervio Martini, Julia Padilla e Alberto Passolini, ricordandoci sempre che l’immagine è un “invito a immaginare” e che, attraverso gli strumenti più basici del mondo, una carta e una matita, il disegno ci invita a parlare e a scoprire l’esistenza umana: amplia ciò che appare piccolo, intimo e quotidiano, o rende accessibile ciò che ci sembra incommensurabile o incomprensibile. Un bell’universo che ci traghetta un po’ più in là, ovvero al MALBA, il Museo di Arte Latino Americano di Buenos Aires che dal 2001 – su volontà del collezionista Eduardo Costantini – ha regalato all’Argentina forse il museo più contemporaneo dell’America del Sud dedicato proprio all’arte di questo pezzo di mondo. “Tercer Ojo”, il percorso permanente il cui allestimento cambia circa ogni due anni, questa volta ci mostra 220 opere iconiche, in un percorso che mette in dialogo la Collezione del MALBA e quella privata di Costantini il cui titolo, Tercer ojo, appunto, deriva dall’opera di Frida Kahlo Diego y yo (1949), che ha fatto parte dell’esposizione fino allo scorso marzo e che rappresenta l’ossessione amorosa e allude alla visione intuitiva che implica la creazione di una collezione.

Tercer Ojo, ingresso dell’esposizione permanente al MALBA

Una collezione da sogno, anche per i temi toccati, che oltre ai due grandi messicani consta di opere imprescindibili dei Modernismi del Sud: Tarsila do Amaral, Xul Solar, Joaquín Torres García, Emilio Pettoruti, Wifredo Lam, Roberto Matta, Maria Martins, Remedios Varo, David Lamelas, insieme alle grandi acquisizioni effettuate da Costantini negli ultimi anni, le cui opere sono divise secondo sezioni tematiche. Le due temporanee, invece, riguardano la mitica figura di John Baldessari, per la prima volta in un museo del Sudamerica, ma soprattutto la retrospettiva dedicata al visionario artista Gyula Kosice, nato in Cecoslovacchia nel 1924 e arrivato bambino in Argentina a bordo di un transatlantico. La mostra riunisce oltre 80 opere prodotte tra il 1950 e il 1980, evidenziando il profilo sperimentale di una produzione che aveva la sua poetica principale nel cinetismo, nell’utilizzo del plexiglass e della luce ma, soprattutto, dell’acqua. Ideatore della revista Arturo (1944) e del gruppo Madí (1946), l’idro-cinetico Gyula è senza dubbio il figlio del proprio tempo, dove il ricordo del mare che l’aveva traghettato alla sua nuova vita non solo resta un elemento imprescindibile dalla sua opera ma si trasforma in una nuova complessità che diventa galassia, universo, e dialogo con la maggior parte delle tendenze cinetiche e affascinate dalla modernità degli anni ’50 e ’60.

Letizia Battaglia, Palermo, 1980. La sposa ricca inciampa sul velo a Casa Professa, courtesy Archivio Letizia Battaglia

Infine, un po’ di italianità: al Centro Cultural de la Recoleta arriva, per la prima volta a Buenos Aires, promossa dall’Istituto Italiano di Cultura, una selezione di immagini di Letizia Battaglia, a raccontare “Crónica, vida, amor”. Attraverso 89 fotografie, in un’area di questo splendido spazio nel centro della capitale argentina, si ripercorre la carriera della fotoreporter palermitana includendo le immagini della mafia, ma anche della vita quotidiana nei quartieri della città siciliana e delle figure delle “sue” bambine, attraversando decadi e sguardi.

Marco Giordano, Slip Touch, courtesy dell’artista

Infine, visitiamo una residenza molto speciale, nel cuore di Buenos Aires, a due passi dall’obelisco: è Proyecto URRA, nato nel 2010 su iniziativa dell’artista Melina Berkenwald che, con più di 400 artisti, curatori e addetti ai lavori dell’arte ospitati fino ad ora, ha anche cambiato varie sedi, arrivando qui – nel grande appartamento di Cerrito – nel 2022. Negli anni URRA ha collaborato con l’Atelier Mondial di Basilea, con il Matadero di Madrid, con AIR-M di Monaco, in Germania, e con Gasworks di Londra, in uno scambio che continua tutt’ora e che ha portato qui l’artista Marco Giordano, italiano di casa a Glasgow che lavora con The Modern Institute e la Galleria Di Marino di Napoli. Durante i mesi che passerà a URRA Marco continuerà la sua ricerca con il progetto Slip Touch, a cura di Katie Simpson, una nuova produzione rivolta al tema dell’antispecifico, degli “inciampi” del linguaggio e nella ri-definizione dell’impreciso concetto di “assoluto” che – relazionato alla pratica umana, sia politica che intellettuale – è quasi sempre a rischio di trasformarsi in “assolutismo”.

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