A Milano, la Galleria Fumagalli ospita, dal 17 settembre al 31 ottobre, la personale dell’artista palestinese Nidaa Badwan dal titolo Rinascita.
L’artista con cittadinanza italiana, nata ad Abu Dhabi nel 1987 e attualmente risiedente nelle Marche, espone un inedito corpus di opere fotografiche. La mostra è simbolo e superamento di barriere artistiche e personali, anche grazie alla presenza di un film documentario, diretto da Andrea Laquidara, in cui Nidaa ripercorre la sua vita dalle origini ebraiche all’Italia.
Il titolo è emblema dell’evoluzione del pensiero dell’artista, che dal 2016 con i progetti Cento giorni di solitudine e Oscure Notti dell’Anima si evolve per raggiungere una nuova condizione di risveglio e rinascenza. La necessità dunque di oltrepassare una serie di soglie del proprio percorso artistico e personale ha portato Nidaa alla sua Rinascita. L’intera mostra ripercorre così l’esperienza intima dell’artista, dal suo concepimento alla sua nascita ponendosi come metafora per una rinascenza universale.
Cosa davvero ha influenzato il pensiero artistico di Nidaa? E cosa l’ha spinta a intraprendere questo percorso di Rinascita? Senza dubbio, le sue origini. Cresce infatti nel sud della Striscia di Gaza, in un clima di profonda discriminazione e persecuzione del genere femminile sotto il regime di Hamas. Una condizione di sofferenza e paura che culmina in un evento che segna la vita personale e artistica della donna in maniera decisiva.
Nel 2013, infatti, le fu contestato da alcuni miliziani il mancato uso del velo per strada. In risposta a questa forma di violenza esercitata contro di lei, Nidaa si costringe a una forzata clausura all’interno della sua camera a Gaza. Un’esperienza di libertà artistica e pacifica ribellione che le permette di concentrarsi sul proprio ‘io’ ed esprimere liberamente la propria femminilità. Da questa esperienza nascerà il progetto Cento giorni di solitudine. Da questo punto in poi l’artista matura il suo pensiero artistico e realizza diversi cicli e serie come Le oscuri notti dell’anima, The Game, Love behind the Mashrabiya. Ma è quella prima esperienza influenzerà il suo percorso artistico fino alla Rinascita.
Ma cosa ci cattura delle opere di Nidaa Badwan? Perché siamo ipnotizzati davanti ai suoi scatti? Vedendola sempre protagonista, nei suoi scatto l’artista diventa testimone di una condizione di soppressione, discriminazione, persecuzione e violenza ed esplora un forte sentimento di emancipazione, proponendo un percorso di liberazione che si rivolge a tutti.
Nidaa riprende e trasforma il pensiero di matrice induista per cui l’essenza immortale del mondo è celata alla percezione dell’uomo, che quindi vive in una condizione di sofferenza e ignoranza. Questo pensiero muta, però, alla luce di una credenza araba secondo cui ogni nascituro porta con sé una pesante eredità, frutto del trascorso emotivo di sette generazioni di ascendenza matrilineare. Nidaa fa forza su questa idea e cerca di condensarla nella sua arte: il suo intento è curare se stessa e gli altri tramite l’immagine, l’arte diventa terapia per poter sfuggire a un’esistenza dominata da solitudine e vocata all’individualismo.
Lo vediamo in particolare nei lavori esposti, opere coloratissime che urlano un’esigenza di libertà, invocano diritti per le donne, celebrano la voglia di trasformare il dolore in qualcosa di positivo. Ogni opera sembra un fermo immagine, senza azione, caratterizzato da una luce teatrale; sono mute, caratterizzate da una spontaneità non calcolata. Così facendo il visitatore si trova ad affrontare uno scontro-incontro diretto e senza filtri sulle tematiche che caratterizzano la nostra quotidianità attraverso uno sguardo nuovo: quello di Nidaa.