Il concetto classico di bello si è sviluppato nell’antica Grecia e non ci ha lasciato più. Lo racconta la mostra I tempi del Bello. Tra mondo classico, Guido Reni e Magritte, esposta al Museo di Palazzo San Francesco a Domodossola fino al 12 gennaio 2025.
A partire dagli scultori greci, la ricerca della bellezza ideale è stata ripresa ciclicamente nella storia dell’arte. Come accade tra Cinquecento e Seicento, quando le scoperte archeologiche ispirano gli artisti, che non restano indifferenti al fascino del mondo classico e ne traggono grande ispirazione. Fra loro c’è anche Ludovico Carracci, che, alla fine del Cinquecento, ritrae San Sebastiano con l’eleganza di un danzatore. Come si vede in mostra, il santo è raffigurato mentre si muove con grazia, esprimendo tutta la bellezza del suo corpo, pur conservando una tendenza al realismo meno idealizzato.
L’opera dialoga con il “San Sebastiano” di un altro dei protagonisti dell’esposizione, Guido Reni, considerato un simbolo della classicità nell’arte europea del Seicento. Il capolavoro di Reni esposto a Domodossola è l’Annunciazione, della Pinacoteca Civica di Ascoli Piceno, che testimonia l’influenza della statuaria classica sull’artista. Ma anche della filosofia plotiniana e neoplatonica, che indicava un’idea di bellezza e perfezione raggiungibili più attraverso la spiritualità che a una stretta adesione ai modelli classici in termini fisici.
Nel Settecento, con i ritrovamenti di Ercolano e Pompei, si diffonde il concetto di “nobile semplicità e quieta grandezza”, espresso compiutamente da Winckelmann. Emblema di questa tendenza è Canova, artista che dedicò tutta la sua ricerca scultorea al raggiungimento della bellezza ideale. Nel Novecento, dopo il forte impatto anti-classico e rivoluzionario delle avanguardie, emerge nuovamente la necessità di riferirsi ai modelli classici come fonte di stabilità e ordine. Si avverte infatti una volontà di “ritorno all’ordine”, che vede nei modelli classici un’alternativa valida all’estetica delle avanguardie, come espresso chiaramente da De Chirico e visibile in artisti come Sironi, Campigli e Funi, tutti presenti in mostra.
Il percorso si conclude con uno dei protagonisti dell’esposizione, Magritte, e il suo Rena à la fenêtre (1937), sebbene il suo approccio al classico sia più una provocazione che una vera adesione ai suoi valori. La testa della donna, priva di corpo, ricorda un busto antico, mentre il concetto della finestra, tipico del pittore, suggerisce un portale verso il passato. Questo tema è reso ancor più evidente dal sapiente allestimento curato dallo Studio Lys e coordinato da Matteo Fiorini, che ha valorizzato le opere lavorando sui supporti e sul contesto.
In alcuni casi, per esempio, ha creato sovrapposizione che partono dal basso con pietra locale, per poi proseguire assemblando materiali, richiamando la stratificazione del suolo, che oggi ci restituisce testimonianze delle epoche passate. Sono stati utilizzati colori come il giallo acido e il viola attenuato, che, senza prevalere sulle opere, conferiscono all’esposizione un tocco estremamente contemporaneo.