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Rio e il “fervo” contemporaneo, seconda parte

Marcos Chaves, Eu só vendo a vista, 1998, courtesy l'artista
José Patrício, Trajetorias sobre preto versão 2, pezzi di puzzle in plastica montati su legno, 2018, ph. Robson Lemos
Oltre alla sua fiera, Rio de Janeiro ha sfoderato una programmazione collaterale degna di una vera e propria capitale dell’arte, affollando giornate e serate di aperture, visite guidate, programmi collaterali e ottimi talks anche all’interno della stessa fiera, coinvolgendo personaggi mediatici anche distanti dall’arte, come è successo lo scorso sabato pomeriggio in una conversazione leggera e profonda tra l’influencer Gabb e l’artista internazionale Adriana Varejão, durante una sessione di ritrattistica dal vero. Ma torniamo in città.

Al Paço Imperial, José Patrício (1960) – rappresentato da Nara Roesler, è in scena fino al 20 ottobre con “Agitações pelo número”, una retrospettiva densa che indaga la passione dell’artista per quell’ars combinatoria che, ai nostri occhi, fa correre il pensiero al grande Alighiero Boetti e alla sua passione per gli empirici-combinati-codici di lettere e numeri e il loro vivere nell’armonia della matematica e della geometria in chiave visuale.
Affascinato dall’Astrazione Geometrica e dal Neoconcretismo, la pratica di Patrício parte dalla selezione di oggetti quotidiani come tessere di domino, dadi e bottoni, che vengono combinati in quadri di medie e grandi dimensioni seguendo cromie, creando immagini astratte che mantengono una vicinanza totale al quotidiano, permettendo all’occhio del pubblico la possibilità di riconoscere gli stessi elementi presenti nelle composizioni che, ad ogni modo, assumono una nuova “aura”. Decisamente da non perdere nel caso si passi da queste parti.

Premio Pipa 2024 al Paço Imperial, Aislan Pankararu e Nara Guichon, Vista da exposição. Foto: Fabio Souza

Tra le altre mostre c’è anche quella dedicata ai finalisti del Premio Pipa 2024 che unisce anche le opere vincitrici dal 2010 a oggi, raccontando un po’ quello che è il maggior premio brasiliano per le Arti Visive che, fino al 2018, è stato ospitato dal Museo de Arte Moderna, oggi in restauro e con la previsione di riapertura nel 2025. I quattro vincitori di quest’anno sono Aislan Pankararu, esposto con una grande pittura che riprende le estetiche della tradizione della comunità indigena Pankararu, Aline Motta, ormai consacrata artista brasiliana che qui presenta un video, enorê e Nara Guichon, a sua volta artista indigena che ha fatto della trama e del tessuto tradizionale la sua forma di produzione.
In zona Gamboa, antica area affacciata sul porto che oggi sta vivendo una nuova era – anche se la gentrificazione sembra ancora lontana a venire – ci sono tre spazi che meritano una visita: il più underground Atelier Sanitário, la galleria Asfalto e l’Istituto Inclusartiz, che ha recentemente trovato il suo avamposto fisico all’angolo con piazza Assunção.
Atelier Sanitário é un vero luogo di creazione dell’arte, che ospita oltre allo studio di Daniel Murgel (ideatore del centro) e la sua falegnameria, anche una piccola casa editrice di edizioni d’artista e in edizione limitata e che, a cadenza regolare, apre le sua pareti ad altrettanti artisti di differente provenienza e mezzo. Durante ArtRio, gli ultimi tre giovani ad inaugurare sono stati Carolina Lopes, Leo Pimenta e Claudio Tobinaga. Asfalto, giovane galleria carioca, quest’anno ha presentato in fiera un solo show dell’artista Thiago Neves, pittore che ha iniziato come writers, partecipando a vari Festival in Brasile e in Europa, e che oggi lavora sul piano di una pittura dove mischia culture popolari e urbane, come ad esempio la “filetagem” (pittura ornamentale delle carrozzerie dei camion). Da tenere d’occhio.

Marcos Chaves, Eu só vendo a vista, 1998, courtesy l’artista

Instituto Inclusartiz, creato dall’imprenditrice argentina Frances Reynolds oltre 25 anni fa, propone invece “Uma história Guanabara”, mostra collettiva che racconta – attraverso la prospettiva contemporanea – la visione dell’arte rispetto a una delle baie più incredibili del mondo, quella di Rio de Janeiro, appunto, chiamata proprio “fiume di gennaio” per un errore degli esploratori portoghesi che, ad arrivare qui nel 1502 confusero la distesa d’acqua per la foce di un fiume: una città nata da un errore, si afferma scherzando per stigmatizzare un poco i grandi problemi che affliggono Rio. In fin dei conti Guanabara, in lingua indigena, significa “il seno da dove sgorga il mare”, per la sua forma rotonda, ma anche – come scrive la curatrice Gabriela Davies, “il paradiso in terra, o l’ambiente più prossimo ad una terra senza male che colpì i sensi degli esploratori per la sua bellezza e la sua abbondanza di ricchezze naturali”. Tutto quello che è successo dopo, dallo schiavismo alla distruzione del “Rio antico” – comprendendo una serie di riforme che culminarono con l’Esposizione Universale del 1922 e, con una serie di migrazioni interne al paese, principalmente dal Nordest, lo si conosce abbastanza bene. Ma è su questi assunti, tra storia, immaginario e memoria che un gruppo di artisti riflettono, donando alla Baia di Guanabara un’altra storia da raccontare: di nuovo Aline Motta, ma anche Gabriel Giucci e le sue pitture iconiche, Gê Viana, Glicéria Tupinambá, rappresentante del Brasile alla Biennale 2024, Guga Ferraz, Jaime Lauriano, le foto-slogan di Marcos Chaves, e anche Mulambö, tra gli altri.

Mulambö, Saquarema, vista della mostra, ph. Pedro Victor Brandão, courtesy Portas Vilaseca

Mulambö, a proposito, è anche in scena con una personale da Portas Vilaseca – una delle più importanti gallerie carioca, in zona Botafogo. “Saquarema”, nome della città dell’artista, sul litorale dello stato di Rio de Janeiro, è anche il titolo della mostra. Una destinazione turistica, ma anche la culla di tutti i propri ancestrali, di leggende e legami famigliari che si confondono in dipinti, in una grande installazione e in una serie di disegni su tavola che hanno come tema il mare, la vita dei pescatori e le storie tramandate di generazione in generazione in una pittura brillante e densa di stratificazioni. Restando a Botafogo, alla Galleria Athena è di scena, invece, Vanderlei Lopes con “Ressaca”: una distesa, un’onda di oggetti/rifiuti trascinati tanto dal mare, nei giorni delle celebri mareggiate che a Rio arrivano a lambire le famose passeggiate di Copacabana o di Ipanema. Ma “Ressaca” è anche lo svegliarsi in preda ai postumi dell’alcool dopo una notte brava, quando tutto torna a galla e la testa sbatte a destra e a sinistra: iperrealisti, in bronzo, allestiti a pavimento e illuminati da precari fari di automobili, da una pila, da una abat-jour ribaltata e a sua volta calco smaltato di un oggetto “originale”, l’installazione di Lopes è una profonda riflessione tanto su un piano sociale, di un pianeta preda dell’incuria umana, tanto quanto una riflessione sul potere dell’arte come rappresentazione, in una carica potente di sur-realtà.

Vanderlei Lopes, particolare di “Ressaca”, alla Galería Athena

Ci spostiamo nella movida del quartiere di Lapa, dove c’è un’altra residenza molto speciale: la Casa da Escada Colorida. Qui, in una porta di una grande casa che si affaccia proprio sulla Escaderia do Selaron, cartolina del centro storico di Rio, negli ultimi cinque anni si sono ospitati artisti residenti e operatori del “sistema arte” per un totale di oltre 200 presenze, tutte proveniente dall’area di Rio de Janeiro, per programmi di sei mesi che culminano non solo con l’apertura degli atelier, ma anche con una mostra generale. Questo ottobre è la volta di “andar junto enquanto fala”, mostra che riunisce i progetti degli artisti Amauri, Dafne Nass, Joana Waldorf, Lui Trindade, Mandú, Mariana Maia, Tainá Camilo e Pitô, sotto la curatoria di Ana Elisa Lidizia. Differenti i generi: dalle installazioni di tessuto in forme antropomorfe e connesse alla spiritualità che lo circonda di Pitô, figlio e nipote di sarte, ai disegni leggeri di Mandú, fino alla video installazione di Joana Waldorf, dove l’artista “cancella” le iscrizioni identitarie da una serie di gomme scolastiche, rimettendo ad un’altra identità non codificata.

Cristina Canale, Rio 40 graus, 1987, courtesy Almeida & Dale

Infine, uno spazio più istituzionale, la Casa di Roberto Marinho a Cosme Velho, che ospita la personale di Cristina Canale, artista nata a Rio de Janeiro all’inizio degli anni ’60 e che ha preso parte dall’inizio al “ritorno alla pittura” degli anni ’80 brasiliani, esponendo anche nella celebre collettiva-performance “Como vai você, Geração ’80” nel 1984 alla Escola de Bellas Artes del Parque Lage. Trasferitasi a Berlino all’inizio degli anni ’90, dove ancora vive e lavora, Cristina Canale è una delle pittrici brasiliane più prolifiche della sua generazione, passata dall’utilizzo di una materialità importante per comporre una pittura di paesaggio focalizzata – anch’essa – nella suggestiva area di Rio, per passare a ritratti composti per oggetti (dai vestiti alle scarpe) fino ad affrontare temi e ricerche quasi indirizzate verso l’astrazione. Un altro giro raccomandato per approfondire un po’ di più le personalità che hanno fatto la storia in questa parte del globo.

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