Da cinquant’anni erano considerate copie autografe di Vincent Van Gogh, ora una ricerca del Museo olandese ribalta tutto. Uno di questi, Head of a Woman (1902-09), era passato in asta nel 2011 per quasi 1 milione di dollari.
Per quanto gli studi in campo artistico si avvalgano sempre più di strumenti scientifici, tanto nel metodo quanto nelle tecnologie adottate, permane un elevato grado di inconoscibile, di fraintendibile, o quantomeno di rivedibile. Un’attribuzione può cambiare dopo anni in seguito alla scoperta di un nuovo documento o di una finezza tecnica, così come un’autentificazione piuttosto solida può naufragare nel nulla in seguito a un’analisi tecnica mai provata.
Accade così che il Van Gogh Museum identifichi come false tre opere dell’artista olandese credute autografe per molto tempo, così tanto che una di queste, Head of a Woman (1902-09), era anche stata venduta in asta da Christie’s per quasi 1 milioni di dollari nel 2011. Un evento significativo non solo per l’investimento praticamente vanificato del collezionista, ma anche perché di solito un passaggio di mercato di questo tipo implica analisi attente. É una questione di credibilità del sistema, di legittimazione di tutti gli autori in causa.
Fa dunque rumore che l’articolo del Burlington Magazine – ad opere di tre specialisti del Van Gogh Museum, Teio Meedendorp, Louis van Tilborgh e Saskia van Oudheusden – che degrada quel dipinto, insieme a Interior of a Restaurant (metà 1900) e Wood Gatherer (1904-12), a un mero falso, dopo oltre cinquant’anni che li si era creduti autentici, ovvero dal loro inserimento nel catalogo ragionato pubblicato nel 1970 da Jacob-Baart de la Faille.
Per decenni, Interior of a Restaurant è stato considerato una seconda versione di un autentico van Gogh, Interior of the Grand Bouillon-Restaurant le Chalet, Paris (1887), oggi conservato in una collezione privata. Ciò non era particolarmente insolito per l’artista, che spesso realizzava diverse copie dei suoi dipinti, al fine di sperimentare nuove soluzioni o semplicemente per venderli/regalarli. I due dipinti, da subito, mostravano discrepanze evidenze: la pennellata era differente, i colori anche, nella presunta copia i fiori erano primaverili anziché autunnali. Ma soprattutto, al suo interno è stato ritrovato un pigmento sintetico blu manganese brevettato nel 1935, dunque ben dopo la datazione che l’opera portava con sé.
É la sorte toccata anche a Head of a Woman, di cui un esame della tela, del gesso e della vernice utilizzata hanno rivelato un’incompatibilità definitiva con il periodo di realizzazione. Cruciale è stata l’analisi incrociata con un altro dipinto simile di Van Gogh, che ha stabilito come il primo fosse necessariamente da escludere nella filogenesi di quella produzione. Una grossa delusione per tutti, ma in particolare per il collezionista che l’aveva acquistata in asta a New York, da Christie’s, per 993 mila dollari.
A condannare Wood Gatherer sono invece alcuni elementi contenutistici, presenti nel dipinto originali e assenti in questo acquerello. Durante la trasposizione, che gli studiosi pensano addirittura possa essere avvenuta a partire da una foto, il falsario si è perso un lungo bastone verticale usato dal contadino per trasportare fasci di legna sulla schiena. Anche il tetto di fattoria innevato sullo sfondo è stato trascurato. Come trascurate, a lungo, siano stare queste analisi rimarrà in parte sempre un mistero, che abita quel terreno di ombrosa soggettività in cui l’arte non può forse fare a meno di muoversi.