L’idea che l’arte non nasca da altra arte è un’illusione. Perciò l’artista diventa “collezionista” dei lavori dei maestri, cercando con molta cura “i pezzi più convincenti non per farne un inventario, ma per farne un universo artistico dal potere simbolico ed evocativo con cui preparare una raffigurazione senza tempo”. Ne parliamo con Giuseppe Negro in questa trentottesima puntata di Progetto(s)cultura.
Quando vi siete incontrati, tu e la scultura?
L’incontro con la scultura avviene circa quindici anni fa quando la necessità di ricercare e sperimentare materiali diversi e riconducibili alla mia identità culturale e territoriale, mi ha portato all’utilizzo del legno bruciato, diventato poi fondamento del mio lavoro.
Dove ti sei formato?
Ho studiato pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Catanzaro, dove ho avuto come maestro Luigi Magli. Le prime esperienze nel mondo dell’arte mi hanno portato a collaborare come assistente allestitore in diverse realtà museali, perciò è stata preziosa la curiosità verso tutto quello che mi circondava e verso gli incontri con diverse personalità artistiche. Ho avuto la fortuna di lavorare con grandi maestri dell’arte contemporanea come Mimmo Rotella, Daniel Buren, Michelangelo Pistoletto, Alessandro Mendini, che mi hanno dato la possibilità di crescere guardando il loro modo di creare e di fare arte.
Foglie, rami, legni secchi: sbaglio o hai un debole per il lavoro di Penone?
Non ho un debole in particolare per Penone, ma sicuramente per tutti gli artisti appartenenti alla corrente dell’Arte Povera che si appropriarono della vocazione al recupero e alla rilettura di quanto attiene al passato, tutti elementi fondanti della mia ricerca. Come un collezionista cerco con molta cura i pezzi più convincenti non per farne un inventario, ma per farne un universo artistico dal potere simbolico ed evocativo con cui preparare una raffigurazione senza tempo. L’utilizzo del legno bruciato nel mio lavoro diventa perciò funzionale all’espressione della mia poetica e riconducibile a una perenne sospensione tra cromatismo, strutturalismo e simbolismo.
L’albero, secondo Penone, è l’idea prima di vitalità, di cultura e di scultura. E tuttavia i materiali con cui realizzi le tue opere sono quasi sempre frammenti di legno combusti e fatti a pezzi… Il futuro è già passato?
Con legno bruciato e carbone metto in scena la speranza del ricordo del passato, contrastando la sua instabilità, affinché qualcosa sopravviva, attraverso la riformulazione della sua connotazione. Recuperare questi frammenti di legno, significa per me agire sul presente e in qualche modo purificarlo con forme che cercano e creano altre forme. Le mie opere sono un insieme di narrazioni scenografiche, paesaggi architettonici, spazi solcati da differenze e dislivelli ben saldi e mai instabili o precari; sono luoghi dove ogni cosa conquista un’aura di sacralità.
Il nero del legno bruciato è il tuo colore preferito. Per quale ragione?
L’uso del legno bruciato rimanda alla grande energia dell’anima del mondo, il total black viene assunto come cifra stilistica dominante, coinvolgendo chi guarda in un inedito percorso di scoperta sulle molteplici possibilità espressive di questo materiale. È questo il presupposto della mia poetica, che fa della materia e del silenzio la voce della conoscenza e la radice della mia intimità. L’elemento naturale restituisce la sua sacralità attraverso la forma e la timbrica cromatica che mi permette di creare superfici che accolgono le diverse sfumature dei grigi e dei neri.
Hai creato, tra le altre cose, un’istallazione che assorbe i rumori. Che cos’è per te il silenzio?
Il silenzio per me è la voce della mia coscienza, la radice della mia intimità. Un metodo, oltre che una ricerca, una necessità interiore, oltre che una manifestazione esterna del mio essere. Una condizione attraverso cui scoprire se stessi e contestualmente aprirsi agli altri. Il silenzio è il presupposto di ogni azione, poiché per poter agire è necessaria una sorta di spontaneità, che implica una difficile e silenziosa pratica di annullamento, di presa di distanza dalle cose e dal mondo, fino al punto in cui la mente abbraccia, in uno stato di quiete, la totalità della propria esistenza.
Potresti descrivere il tuo modus operandi?
La scelta del materiale non è mai casuale, è sempre molto pensata e ricercata. È un rito che si ripete tutte le volte che mi ritrovo a costruire e a realizzare un’opera. Il principio di montaggio consiste nell’erigere grandi strutture a partire da piccoli elementi, rielaborando forme appartenute alla memoria collettiva. In tal modo il legno bruciato diventa un immenso ammasso di tessere, ricamate e cucite tra loro, per confezionare un’idea con il filo della fantasia. L’assemblaggio dal taglio minimale crea volumi carichi di tensione e di energia che genera una remota fascinazione, dove si sedimentano significati nascosti.
Il tuo lavoro più rappresentativo?
L’opera Spartito potrebbe definirsi la creazione che ha dato il “la” al mio lavoro pittorico e scultoreo attuale. Quest’opera è quella che più di tutte rappresenta la mia anima poetica, in essa c’è la forma, il ritmo, l’architettura, il pieno e il vuoto, la risposta a un mio desiderio creativo di ricerca dinamica. Il legno bruciato con i suoi incastri crea volumi che come infiniti suoni rimandano a ricordi ancestrali.
L’opera che vorresti rifare?
Non c’è nessuna opera che vorrei rifare. Un’opera per me rappresenta un “qui ed ora”, un insieme di elementi che interagiscono con lo spazio e il tempo, capaci di esprimere una personale percezione di quel momento, una spirale di consonanze e concordanze che non possono essere replicate.
Hai mai avuto momenti di crisi? Come li hai superati?
Sicuramente ho attraversato momenti difficili, ma ho sempre cercato, e continuo a cercare, la forma migliore per rappresentare la mia poetica. Il mio stato di precarietà mi ha sempre portato a fare ricerca di nuovi materiali e non ha mai fermato quella straordinaria voglia di creare qualcosa di nuovo che possa dare voce alla mia anima.
Vivi e lavori nel profondo Sud. Preferiresti stare altrove?
Il ritmo silente, gli odori, il rumore del mare e il fruscio degli alberi… non esiste nessun luogo come la mia terra per stimolare sì la creatività, ma soprattutto l’anima e quel silenzio di cui parlo e che racconto con forme e canti di luce e colore.
Insegni all’Accademia di Catanzaro. Cosa suggeriresti ai tuoi studenti che volessero dedicarsi alla scultura?
Agli studenti che si approcciano alla scultura dico sempre che relazionarsi con la materia è fatica e poesia, un incanto emozionale fatto di forme, luce e sperimentazione. L’approccio deve essere carnale, il laboratorio un luogo attivo e consapevole in cui lo studio e il pensiero devono restituire il giusto equilibrio tra ricerca e lavoro manuale.
Che cosa pensi della scultura italiana, è viva o morta?
Oggi quando si parla di scultura non si pensa più al concetto del “formare”, ma a quello dell’assemblare. La scultura, come tutte le arti, è senz’altro viva, anche se sta attraversando un periodo di concreto cambiamento, in cui l’aspetto nobile della materia ha lasciato il posto al materiale.
Pensi che l’arte sia un puro gioco con l’essenza o ritieni che essa possa incidere, in qualche modo, sulla storia?
Penso che l’arte debba tendere a cambiare il mondo e la sua storia, rappresentando un’opportunità per rendere gli uomini coscienti e partecipi della dimensione collettiva, offrendo l’occasione di esplorare la struttura del presente.
A cosa ti stai dedicando, a cosa ti dedicherai?
Dopo tanta fatica con la mia compagna abbiamo da poco aperto il nuovo studio nel centro storico della mia città, spazio che diventerà per entrambi un luogo in cui la ricerca e il pensiero prenderanno vita. Tanti i progetti in cantiere che mi vedranno presente in musei, gallerie, fiere e spazi pubblici.