Sognare ad occhi aperti in inglese si dice daydreaming e The era of daydreaming è il titolo del 2024 di Artissima, la fiera di arte contemporanea giunta alla 31ma edizione, più simile a Frieze rispetto alle altre fiere italiane, che ospita all’Oval Lingotto 180 gallerie nazionali e internazionali.
Ma, più che daydreaming è comfort zone: il sogno resta bloccato nel titolo della manifestazione più attesa, visto che al Lingotto tutto è prodotto solido, riconoscibile e i viaggi onirici in connessioni di pensieri spontanei tra diverse arti non si vedono; qui tutto è oggettivamente pensato e “confezionato”, pronto per essere acquistato e valutato nel tempo, come una rassegna di profilo elevato è solita fare.
Artissima 2024 è una fiera elegante, sobria, “sabauda” all’insegna della prudenza e resilienza, con quel poco che basta di tecnologia e un pizzico di linguaggi digitali, introdotti giusto per rifrescare il look tutt’altro che sperimentale. Quest’anno Luigi Fassi, al suo terzo mandato da direttore, punta su questo tema perfettamente allineato al centenario del Manifesto del Surrealismo (1924-2024), indicante la via dell’arte di ieri e di oggi, e invoca la fantasia come pratica innovativa, ma non è una gran novità.
L’immersione contro la noia quotidiana e l’ovvietà di certi temi impegnati incomincia attraversando le sezioni Present Future, che mescola quest’anno temi e linguaggi, Back to the Future piuttosto orientato sul presente, crisi ambientali, processi di emancipazione, giustizia mancata e altre scottanti domande sull’attualità, dimostra il trend dell’arte contemporanea, sempre attenta a narrazioni, racconti, processi didascalici, piuttosto che incentrata sull’impatto emotivo e/o l’illusione, come invece il titolo di Artissima promette.
In fiera di nuovo ci sono molte artiste donne, finalmente, e il boom degli emergenti: 15 gallerie neonate internazionali, stand monografici o di coppie virtuose di autori a confronto, e non delude l’area degli specialisti di edizioni e di multipli, per chiudere con la sezione Disegni: opere su carta come supporto democratico che apre a nuovi mercati; materiale sostenibile di sempre, “nobile” e poetico strumento espressivo, pronto a trasformare un pensiero in una visione intorno alla necessità di sognare. Evitando il “best stand”, qui vi segnaliamo artisti e opere che non si dimenticano, ed è già un successo!
Come per esempio FISHPHONICS: ACCELERANDO di Clara Hastrup, presentata dalla galleria milanese MATTA, un anomalo concerto di pesci, in un ambiente sonoro che inscena un’orchestra tra elementi organici e artificiali in un sistema di acquari e strumenti musicali, in cui si attivano meccanicamente nello spazio oscurato, con fasci di luce proiettati dall’alto che si infrangono nell’acqua e “toccano” i sensori sul fondo delle vasche, delineando un campo di assi verticali. In questa immersione nel blu, i piccoli pesci nell’acquario, proiettando ombre su un fotorecettore che per mezzo di un microcontrollore, attiva due xilofoni e due metallofoni, producendo un suono ipnotico, che incanterebbe anche le sirene! I pesci, con i loro movimenti e posizioni, emettono note musicali grazie a una complessa apparecchiatura, generando composizioni ibride tra caos e armonia, in cui lo spettatore resta sospeso tra la complessità dell’installazione, l’analogico e digitale nella trasparenza fluida dell’ambiente, in cui la luce ha un ruolo determinante. Sorprendono gli improbabili scontrini raccolti da Camilla Gurgone, in ceramica con poesie, in dialogo con i mondi immaginari di Teresa Giannico, presentati in una sezione della galleria milanese Viasaterna, diretta da Carolin Mittermain. L’allestimento più green lo propone Loom Galley di Milano, arredato con piccole piante di specie diverse griffate Palma (ex artista che coltiva piante), disposte sul pavimento lungo le pareti, in relazione con le opere di Benjamin Jones, Antoine Langenieux-Villard e Alexandra Barth per inscenare un’atmosfera naturale, illusoria. Non si dimentica di Maurizio Nannucci, tra i padri della Light Art italiana, l’ipnotica grande scritta a muro UP/DOWN (1984/2024), un grande neon in vetro in pasta di Murano rosso e blu con accensione temporizzata a tre varianti, che irradia luce nell’elegante stand della Galleria Enrico Astuni, Bologna. Invece, alla Gady Gallery emozionano le opere di Ingeborg Lüscher, classe 1936, con dipinti in zolfo, sculture in gesso, carbonato di ferro e colla e zolfo, dell’artista eclettica svizzero-germanica, compagna di Harald Szeemann che ha sperimentato il potere trasformativo del fuoco (Inboxes), lirica, simbolista con i suoi paesaggi poetici di impalpabile leggerezza.
La Galleria Giampaolo Abbondio (Milano, Todi) dedica lo stand a Elyla, artista-attivista nicaraguense, multiforme, tra i protagonisti della 60esima Biennale d’Arte di Venezia, a cura di Adriano Pedrosa, affronta in maniera struggente tematiche queer, in connessione alla storia della sua nazione. Video e oggetti utilizzati per la performance trasformati in sculture ready-made, esposti su strutture minimaliste raccontano la sua condizione di estraneo a se stesso, identità ibrida intrappolata in un corpo non conforme alla cultura “machista” sudamericana. “El-y-la” significa “lui – e lei” in spagnolo e indica la convenzione di genere come sovrastruttura culturale dominante di matrice coloniale; nel video struggente mette in discussione credenze popolari, tradizioni, mescolando sacro e profano, commedia e tragedia all’insegna dell’eleganza formale con una performance di tensione rituale-sacrale.
Nel complesso si esce da Artissima con la consapevolezza che l’uomo non è più la misura di tutte le cose, ma la natura e i cambiamenti climatici, geologici, sociali, culturali e politici epocali che stiamo vivendo stanno configurando un’opportunità per superare l’antropocentrismo, con opere in cui il corpo è protagonista connesso a vari organi e specie. Tre artiste donne sono le protagoniste delle mostre imperdibili alla GAM, diretta da Chiara Bertola, che ha azzardato connessioni tra Berthe Morisot (1841-1895), pittrice, unica protagonista donna del movimento impressionista francese, profondamente legata a tematiche intimiste, nei suoi ritratti di bambine o figure femminili diafane e scene di ordinaria banalità in un interno borghese o in giardino e verande irrorate dalla luce naturale, in dialogo con una installazione display, realizzata ad hoc da Stefano Arienti, che si snoda lungo tutto il percorso espositivo con un’ambientazione davvero suggestiva, permettendo al visitatore di sentirsi en plein air dentro la GAM. Le altre due mostre monografiche sempre alla GAM, di Mary Heilmann (1940), tra le più importanti pittrici astratte americane contemporanee, e Maria Morganiti (1965), pittrice-archivista che presenta opere dal 1988 al 2024, dimostrano come il colore, la trama tra linee orizzontali e verticali segnano, scandiscono il tempo fluido dell’arte; è materia fluida dell’anima all’interno del loro sentire complesso il mondo, metaspazi in maniera diversa che diventano traccia di esistenza attraversata da tonalità luminose di pensieri sull’armonia in perenne riformulazione.