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Memoria e contemporaneo: il colore del centro-ovest brasiliano

Rafael de Almeida, Extra Frágil, intervento su fotografia creata con AI, 2024, courtesy dell'artista
Rafael de Almeida, Vaquejada de Simeão, 2024, video 1min 30s, courtesy dell’artista
Per cominciare un viaggio nella regione Centro-Ovest del Brasile, più che dalla Capitale Federale (Brasília) é forse necessario partire da un punto ancora più “esterno”: Goiânia, capitale dello stato di Goiás, fondata nel 1932 per diventare la nuova capitale del Brasile, prendendo in prestito i paradigmi dell’Art Decò per la sua architettura (la cui eredità, oggi, è seconda solo a Miami) e lasciando un significativo lascito “verde”, composto di grandi parchi, viali e piazze alberate, che l’hanno resa – nonostante le sue temperature elevate – la città più arborizzata del paese.

Ed è a Goiânia che, poco più di due anni fa, è nata la galleria Cerrado – nome che deriva dal bioma della “foresta a testa in giù”, che caratterizza il paesaggio di buona parte dell’area dello stato – i cui soci sono Lucio Albuquerque, uno dei fondatori di Casa Albuquerque a Brasília, Antônio Almeida e Carlos Dale, ovvero i fondatori della galleria Almeida & Dale di São Paulo. Quasi contemporaneamente a Goiânia, la galleria Cerrado ha aperto le sue porte – in due differenti spazi – anche nella capitale brasiliana, ma di questa sede vi racconteremo in un’altra puntata.
A Goiânia, Cerrado – che si è data il compito di promuovere l’arte di questa area geografica per molto tempo rimasta fuori dal circuito Rio – San Paolo, e la cui ricca produzione non ha potuto viaggiare molto lontano o, spesso, lo ha fatto in sordina – occupa una splendida casa modernista nella Rua 84, progettata da David Libeskind, che ha conservato gli antichi azulejos e che, fino a poco tempo fa, ospitava la sede dell’IPHAN dello stato di Goiás (Istituto del Patrimonio Storico e Artistico Nazionale). Così, i 500 metri quadrati di spazio espositivo sono una vera e propria “attivazione” tra passato e presente, tra arte e architettura.
Alla Galleria Cerrado, sotto la direzione artistica di Divino Sobral, l’occhio critico probabilmente più attento della regione, abbiamo potuto scoprire il lavoro di Talles Lopes e della sua “Paisagem Aclimatada”: um percorso pittorico tra i tropi del paesaggio brasiliano – Talles è formato in architettura – che mescola la semantica del razionalismo urbanistico di quest’area, che vide molte città “pianificate” durante il secolo scorso, includendo contemporaneamente l’aspetto di sfruttamento, impossibile da trascurare, che questa terra ha vissuto e continua a vivere in fatto di agricoltura e allevamento intensivo, in dimensioni di proporzioni devastanti che hanno chiaramente influito sull’ecosistema, l’ambiente, come nello sfruttamento del lavoro…

Talles Lopes, vista della mostra “Paisagem Aclimatada”, ph. Lu Barcelos, courtesy l’artista e Cerrado Galeria

Tra le altre città pianificate qui c’è Anápolis, situata a una cinquantina di chilometri da Goiânia, dove proprio Talles Lopes fa parte degli artisti che lavorano al Barranco Ateliê, nato per volontà di Valdson Ramos, che negli ultimi mesi ha ospitato in residenza anche Chico Silva, pittore locale e dal tratto unico che sta riorganizzando il proprio archivio in vista della sua prima esposizione personale: “Qui offriamo la possibilità agli artisti di poter ripensare alla propria produzione o dare un impulso al proprio lavoro, in vista di appuntamenti istituzionali. Ma, contemporaneamente, organizziamo aperture anche per far conoscere lo spazio alla comunità”, ci racconta Valdson, la cui affascinante ricerca pittorica indaga l’universo dell’iconografia religiosa brasiliana, utilizzando come elementi del proprio linguaggio acqua benedetta e vino canonico, creando immagini che ricordando anche astrazioni di sindoni o antichi panneggi. Anápolis, inoltre, dagli anni ’80 e senza interruzioni, ospita anche il Salão Anápolino de Arte Contemporânea, una vera e propria vetrina per i giovani artisti brasiliani, che a partire dal riconoscimento di questa manifestazione molto spesso riescono a dare una possibilità ulteriore alla propria carriera. In città, oltre al Salone – che si svolge nel centro Antônio Sibasolly, nome dato in memoria al giovane pittore anapolino, scomparso prematuramente nel 1979 – c’è anche il Mapa, centro di arte che attualmente sta ospitando la ricerca fotografica di Diego Oliveira, “Entrega Urgente”. A partire dalla sua esperienza come ragazzo delle consegne, Diego ci mostra una ricerca narrativa composta di interni ed esterni, raccontando la precarietà del lavoro e allo stesso tempo dislocandoci un’estetica dell’attraversamento che ricorda anche certe esperienze della Narrative Art degli anni ’70.

Estêvão Parreiras, Sem título, 2023 96×66 cm, pastello a cera e matita colorata su carta, ph. Paulo Rezende

Tornando a Goiânia, è doveroso segnalare altri due artisti che qui vivono e lavorano: Estêvão Parreiras e Rafael De Almeida. Estêvão, rappresentato da Cerrado, è ispirato dalle figure degli ex-voto e dalla cultura popolare che disegna in piccolo e grande formato, utilizzando come protagonista delle sue immagini un “uomo comune” che, a ripetizione, è vittima e salvatore di se stesso, alter ego e protagonista, strumento nelle mani di Dio o entità fantasmatica.

La produzione di Rafael, invece, si muove a partire da immagini d’archivio e “oltre”; queste ultime provengono dal nucleo che l’artista crea con l’intelligenza artificiale e che permettono, con molta precisione, di visualizzare scene che potrebbero essere facilmente accadute, ma di cui non si hanno testimonianze dirette a causa di questioni che hanno a che fare tanto con l’antica mancanza di tecnologia nei luoghi remoti del Brasile, come era il Centro-Ovest, quanto con la volontaria dimenticanza storica nel raccontare l’unione inscindibile tra il popolo e la vita rurale. L’artista, per gettare una nuova luce sul passato, utilizza come soggetto prediletto la figura del toro, con tutti gli annessi e connessi psicologici e ancestrali che questo animale porta con sé in relazione alle culture di cui è simbolo.

Carlos Camilo, dettaglio della mostra “Espalhe vida e que entre o equilíbrio”

E il toro ritorna anche al Centro Culturale Octo Marques, bello spazio espositivo nel centro della città, nelle fotografie e foto-incisioni di Thays Thir, che con De Almeida condivide il tema di una cultura sertaneja, termine che indica una dimensione campestre, fatta di paesaggi aridi che con poche gocce d’acqua brillano di verde, di mandrie, di cowboy divisi tra l’arrivo del nuovo e la più forte tradizione, navigando in una dimensione psicologica e sospesa di immagini che appartengono anche alla memoria e al ricordo personale.
Sempre al Centro Marques è di scena la prima personale del giovane pittore Carlos Camilo, una selezione di 21 opere che a partire dal paesaggio del cerrado si muovono intrecciando una vis ecologica, surrealista e politica, Infine, assistiamo anche alla seconda edizione di “Abrir Horizontes”, collettiva che mostra il meglio dell’attuale produzione degli artisti di questa parte del Brasile, con la curatela di Divino Sobral, Paulo Duarte-Feitoza e dell’artista Dalton Paula, quest’anno tra i protagonisti di “Stranieri Ovunque”. Tra le varie opere, risaltano gli acquarelli raffinati di Genor Sales, raffiguranti vari tipi di specie di pesci, o l’indagine sulla figura del mascolino di Tor Teixeira, attraverso pitture dai colori psichedelici e notturni.

Dalton Paula, Cabra e cadeira, 2017, olio su tela, 40 x 50 cm, ph. Paulo Rezende, courtesy Cerrado Galeria

Entrambi, attualmente, fanno parte del team del Sertão Negro Ateliê e Escola de Artes che – per chi non lo sapesse – si può definire come una vera e propria associazione comunitaria artistica, creata esattamente a partire dalla casa-studio di Dalton Paula che, con la compagna Ceiça Ferreira, da circa tre anni (anche se il progetto è datato 2019) ha “ufficializzato” questo incubatore che rimette idealmente alla dimensione sociale del quilombo anche nella rivendicazione della proprietà della terra, interdetta alle persone di colore fino alla fine dell’epoca dello schiavismo, nel 1888, e che non mudò nemmeno nelle decadi successive.
Dalton Paula, attualmente rappresentato oltre che da Cerrado, da Alexander and Bonin di New York e dalla paulistana Sé, ha fatto della ricerca intorno al corpo nero, silenziato dalla paura, dall’insicurezza, dall’individualità e dall’effimero, il proprio linguaggio poetico, e racconta del suo Sertão Negro come una possibilità per “non camminare più da solo”. Di fatto, oggi, tra ricercatori, artisti, professori, collaboratori, lavorano in questo spazio una quarantina di persone.
“È potente stare insieme, è maggiore la quantità di cose che si possono realizzare. Certo, la vita in comunità non è facile, ma i nostri principali modelli sono i quilombos, i terreiros. Per questo esiste la logica del rispetto al più anziano, a chi ha aperto i cammini, affinché oggi questa realtà possa esistere. E, non in ultimo, perché il 90 per cento delle risorse economiche sono messe a disposizione dallo stesso Dalton”, ci raccontano le nostre guide al Sertão. Forse, ad altre latitudini, questo sarebbe considerato un semplice “atelier”, ma da queste parti si mescola all’arte il “materiale umano” e la volontà di aiutare i giovani ad ottenere un accesso più naturale e “normale” tanto alla terra, quanto alla casa e, anche, al mercato dell’arte.

“Arte Africana: Máscaras e Esculturas”, dettaglio della mostra alla Vila Cultural Cora Coralina, ph: Leo Iran / Secult Goiás

Un mercato che, da queste parti, è rimasto silenzioso per moltissimi anni, ma che oggi sembra aver ripreso una nuova strada, anche grazie a giovani imprenditori che sugli artisti locali stanno scommettendo, come nel caso di José Seronni, che ha scelto di orientare la propria collezione – iniziata una decina di anni fa – al tema delle minoranze, degli artisti razializzati o considerati “popolari”. Oltre ai grandi nomi dell’arte brasiliana, da Dalton Paula – appunto – a Adriana Varejão, oggi il giovane collezionista sta puntando su vari nomi emergenti che, in tutti i modi, raccontano le vibrazioni del contemporaneo e di una società che, forse, un poco distanti dall’occhio del ciclone ma nel collocati nel centro dell’America del Sud, mantengono colori più vivi.

Infine, una mostra da far impallidire molti musei etnografici del mondo: fino al 6 aprile del 2025, la Vila Cultural Cora Coralina, dedicata alla memoria della grande poetessa brasiliana – emblema dello stato di Goiás, ospita una parte dell’impressionante collezione privata Africa, che ha sede a San Paolo: oltre 390 pezzi, con un focus particolare sulle maschere e le sculture tradizionali, provenienti da ogni parte del continente, raccolte sotto il titolo di “Arte Africana”: oltre alle sculture, anche pezzi speciali come cucchiai, pettini, pulegge, bronzi, ornamenti, pezzi rituali, supporti e tessuti, che tanto raccontano l’attrazione estetica che subìrano nei confronti di questi oggetti alcuni degli artisti più emblematici del XX secolo, come Picasso, Brancusi e Giacometti. E accanto, in un racconto dell’eredità africana in fatto di religione, una ricerca visiva intorno al jogo de búzios di Rafael Vaz, per consentire anche ai principianti assoluti di entrare visivamente nel mondo degli orixá e del candomblé.
Mica male, Goiânia, per essere ai margini.

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