Spazio non facile per un artista contemporaneo, il PAC di Milano, progettato dall’architetto Ignazio Gardella nel 1948 con una struttura aperta e fluida, che non sempre gli artisti invitati hanno interpretato in modo efficace. Per questa ragione la personale di Marcello Maloberti Metal Panic, curata da Diego Sileo, rappresenta un esempio perfetto di interpretazione del PAC, creando nello spettatore una riflessione sull’attivazione di uno spazio espositivo che si presenta qui al massimo delle sue potenzialità.
Un’esperienza concettuale ma anche fisica ed emotiva, che vede il tessuto urbano della città di Milano come un territorio tagliente ma fecondo, dal quale l’artista è stato capace di trarre una visione poetica acida e bruciante, come una scossa elettrica che cattura il visitatore per l’intera durata della visita. Immagini, suoni, oggetti e parole sono protagonisti di una narrazione essenziale e a tratti sorprendente, che “traccia un ritratto lirico e personale dell’Italia del suo tempo e degli stereotipi che la circondano”, suggerisce Sileo.
Il viaggio comincia dall’esterno, sotto il braccio meccanico di un autocarro che sorregge la scritta al neon Cielo, in una sorta di tautologia effimera e straniante, come per Ultimatum, la parete di acciaio che riveste l’intera facciata, come una fortezza di metallo, fredda e minacciosa. Un dialogo tra opposti che corre come un filo rosso negli spazi interni, annunciato da un cartello stradale capovolto con la scritta Milano, ad indicare una situazione di sospensione tra interno ed esterno: si intitola M e fa riferimento a Mussolini, appeso a testa in giù a Piazzale Loreto. Sulla parete in alto Chance di un capolavoro è un fregio di forbici addolcite da piume d’oca, mentre si diffondono, come un mantra medievale, i suoni provenienti da Metal Panic, uno schermo occupato da un uomo che soffia nelle canne di un fucile da caccia ad intervalli regolari. Lo spazio viene attraversato da Tilt, un guardrail appoggiato su blocchi di marmo di Carrara che conduce ad una sala occupata da Sironi, una serie di immagini di opere di Mario Sironi ritagliate nel corso di diverse performance.
Davanti alla vetrata otto scritte al neon, intitolate Martellate, illustrano la dimensione poetica del Maloberti-pensiero, come apparizioni che collegano cultura e natura, realtà e sogno, quasi a preparare il visitatore alla seconda parte della mostra, che si svolge al primo piano del PAC. Qui troviamo un immaginario più intimo ma non per questo meno pungente. Se la tovaglia da pizzeria abbinata alla bandiera italiana (La Vertigine della signora Emilia) riveste la balaustra della balconata, l’installazione Petrolio è composta da decine di copie dell’ultimo incompiuto romanzo di Pier Paolo Pasolini: ognuna è aperta a metà ed ha al centro un coltello da cucina. Pizzerie e delitti di stato? Alla fine del percorso, la Project Room custodisce la wunderkammer dell’artista, con le opere giovanili eseguite nella casa a Casalpusterlengo dove l’artista è cresciuto.
Degna conclusione di una mostra attraversata da una tensione generata da contrappunti e confronti tra monumentale e vernacolare, luci ed ombre, parole e immagini, simboli e visioni, a costruire un ritratto dell’Italia contemporanea che affonda nelle sue contraddizioni, colte in maniera mirabile da Maloberti, che ha animato la mostra con alcune performance (Baciamano, Bolidi, La suggeritrice) per coinvolgere il pubblico in una mostra da vivere come un’esperienza, in bilico tra etica ed estetica.