Tra i colpi di scena il film d’animazione lettone Flow e il premio a Fernanda Torres, mentre il discorso più emozionante ai Globes lo pronuncia Demi Moore
Si è da poco conclusa l’82 edizione dei Golden Globes, tenuta, come da rito annuale, presso il Beverly Hilton Hotel di Los Angeles. La trasmissione è stata distribuita negli Stati Uniti dalla CBS e da tutti i suoi associati, mentre in Italia, a meno di una connessione VPN a pagamento, lo show era impossibile da seguire. Non sappiamo le ragioni per cui nessun canale abbia acquistato i diritti di distribuzione nazionali, ma in nessun caso la disaffezione del pubblico per il cinema, che sia la causa o la conseguenza di questa scelta, è una buona notizia.
In una stagione delle premiazioni incerta e insolita come quella corrente, dove fino a qualche settimana fa non era ancora chiaro quali fossero i film frontrunner, non è stato facile né per gli esperti allibratori, né per i navigati analisti prevedere le vittorie nelle varie categorie. E infatti sono stati numerosi i colpi di scena.
Dark Horses
Nessuno si aspettava che Fernanda Torres, figlia di Fernanda Montenegro – che aveva ricevuto una nomination ai Golden Globes proprio 25 anni fa per Central do Brasil – si aggiudicasse la statuetta per I’m Still Here, il dramma politico biografico di Walter Salles, battendo la favorita Angelina Jolie. Quest’ultima era in lizza per la sua interpretazione nel greve biopic dedicato a Maria Callas, diretto da Pablo Larraín. Sarà forse la volta buona che il regista cileno chiude il tedioso capitolo dei film biografici dedicati ai grandi personaggi femminili?
Flow batte The Wild Robot
Eh sì, la piccola, poetica, distopica allegoria animata di Gints Zilbalodis, primo film della Lettonia a concorrere (e vincere) ha battuto il favorito The Wild Robot di Chris Sanders (Dreamworks Animation, distribuito da Universal Pictures). Se ancora non l’avete visto, vale la pena recuperarlo.
Un lasciapassare per l’Oscar
Sembrava più o meno blindata la vittoria di Mikey Madison, protagonista della drammedia slapstick Anora di Sean Baker, e invece all’ultimo è sfumata. Demi Moore, visibilmente emozionata, ha ricevuto il suo primo Golden Globe come miglior attrice per la sua interpretazione in The Substance di Coralie Fargeat. «Sono davvero scioccata in questo momento», ha detto l’attrice sul palco. «Faccio questo lavoro da più di 45 anni e questa è la prima volta che vinco. Trent’anni fa, un produttore mi disse che ero un’attrice da blockbuster. Potevo fare film di successo, guadagnare molto, ma non avrei mai avuto riconoscimenti».
L’attrice si era rassegnata finché non è arrivata la sua occasione con The Substance. «Una donna mi disse: ‘Sappi che non ti sentirai mai abbastanza, ma puoi scoprire il tuo valore se smetti di misurarti». Il discorso è stato l’apice della serata, così emozionante che, dopo l’uscita dell’attrice, Kerry Washington ha commentato: «Buona fortuna al prossimo», consapevole che il suo discorso sarebbe rimasto insuperato.
Sebastian Stan eclissa Jesse Eisenberg
Davano tutti per vincitore Eisenberg come miglior attore nella categoria Commedia/Musical per il road movie/coming of an age A Real Pain – l’ha preso invece solo Kieran Culkin come attore non protagonista. Invece è stato Sebastian Stan con A Different Man di Aaron Schimberg a vincere. Il film racconta di un aspirante attore affetto da neurofibromatosi di tipo 1 (citazione a The Elephant Man di David Lynch). L’attore, ricordiamo, era candidato anche per l’interpretazione di Donald Trump per il biopic The Apprentice di Ali Abbasi. Comunque tutti i partecipanti alla serata si sono tenuti ben lontani da qualsiasi commento politico.
Il successo di The Brutalist
The Brutalist di Brady Corbet stava aspettando il suo riscatto dal suo debutto alla Mostra del Cinema di Venezia. Il film di tre ore e mezza racconta la storia di un architetto ebreo sopravvissuto all’Olocausto che emigra negli Stati Uniti per inseguire il sogno americano. Girato in VistaVision (70 mm) e realizzato in sette anni, ha conquistato il premio come miglior film, miglior regia per il giovane e ambizioso Brady Corbet, e il riconoscimento per Adrien Brody, protagonista nel ruolo di Laslo Toth. The Brutalist diventa così frontrunner agli Oscar.
Da Conclave a The Last Showgirl, i grandi esclusi
Conclave, avvincente film sugli intrighi di potere in Vaticano al tempo dell’elezione di un nuovo Papa, che era il maggior contendente di The Brutalist – anche se Variety, Vulture, GoldDerby, solo per citare tre testate autorevoli, davano quest’ultimo per vincitore – ha ottenuto solo il premio alla sceneggiatura strepitosa di Peter Straughan. E se la miglior colonna sonora è risultata quella di Atticus Ross e Trent Reznor per Challengers di Luca Guadagnino, è stata la canzone El Mal da Emilia Perez di Clément Ducol ad aggiudicarsi l’agognato premio. La scelta sarebbe potuta ricadere su Mi Camino di Selena Gomez dallo stesso film, oppure su Miley Cirus per Beautiful That Way per The Last Showgirl di Gia Coppola, oppure Forbidden Road di Robbie Williams (Better Man) e avrebbe avuto più senso pure la canzone Kiss the Sky di Maren Morris per The Wild Robot. Ma il giudizio popolare, pur essendo a volte inspiegabile, va accettato così com’è, come effetto collaterale della democrazia.
Box Office Achievement: una oscura categoria
Il premio per il traguardo cinematografico dell’anno lascia perplessi: non è ben chiaro cosa si intenda premiare. La selezione prevede otto film che hanno ottenuto riconoscimenti significativi al box office e che, teoricamente, dovrebbero accedere automaticamente alla competizione senza necessità di voto. Tuttavia, il regolamento richiede comunque una votazione, il che risulta poco logico. Ancora più ambiguo è il criterio di selezione tra i candidati: il film con il maggiore incasso dovrebbe, di norma, essere il vincitore naturale.
Eppure, quest’anno Wicked, secondo incasso mondiale, ha avuto la meglio su Inside Out 2, vero campione assoluto di guadagni. Una scelta che sfida le aspettative e per la quale, forse, non servono spiegazioni. A volte, sembra che l’unica cosa necessaria sia avere fede.
Emilia Perez, il film più sopravvalutato dell’anno
Concludiamo questa riflessione con alcune considerazioni su Emilia Pérez, non senza rivolgere un pensiero ad Anora di Sean Baker, il maggiore sconfitto della serata.
Il budget stimato di Emilia Pérez, secondo IMDb, è di 25 milioni di euro. Nonostante una campagna promozionale aggressiva, orchestrata con maestria da Netflix, e la generosità nell’assegnazione di premi al film di Jacques Audiard (trionfatore assoluto, tra gli altri, agli European Film Awards), l’opera fatica ancora a decollare. Con un incasso di soli 9,8 milioni di euro al box office, non è riuscita a recuperare neanche la metà dell’investimento.
Il film, accolto tiepidamente dalla critica – come dimostrano le recensioni online, le griglie di valutazione stilate durante il Festival di Cannes e i punteggi sui siti aggregatori come Rotten Tomatoes e Metacritic – è però riuscito a conquistare i votanti dei Golden Globes. Nonostante i dubbi sulla sua accoglienza generale, tra molte feste, ricchi premi e cotillon, Perez ha ottenuto ben 10 candidature, superando anche il record piuttosto discutibile di Barbie lo scorso anno. Per dare un’idea del paragone, Cabaret nel 1973 ne aveva ricevute 9, portandone a casa 3.
La prova del tempo
Quest’anno, Emilia Pérez è riuscito a vincere in 4 categorie: miglior canzone (come già sottolineato), miglior attrice non protagonista per Zoe Saldana, miglior film in lingua non inglese (per la manciata di illusi italiani il “mattone” di Vermiglio di Maura Delpero non ce l’avrebbe fatta comunque, con buona pace del silurato Sorrentino) e miglior commedia/musical.
Di fronte a tutti i riconoscimenti e a un sospetto favoritismo che ha voluto piazzare la vittoria di Emilia Perez in chiusura di show, contravvenendo all’uso di concludere col miglior dramma, saprà questo film resistere alla prova del tempo? Ai posteri l’ardua sentenza. Per oggi, da ArtLife, è tutto. Restate sintonizzati per gli Oscar: appuntamento con le nomination al 17 gennaio.