
Daniela Barbieri, curatrice della mostra Near to singularity, unclear which side (vicino alla singolarità; non è chiaro da che parte) nella Galleria The Flat – Massimo Carasi Milano, incastonata come un diamante nella zona liberty a Porta Venezia, inscena una “singolar tenzone” tra l’artista americano Antony Coleman (1969) e la messicana Guadalupe Salgado (1991), stravaganti e diversi in tutto per generazione, cultura ed esperienze, ma uniti da una straordinaria manualità e dalla necessità di esprimersi e comunicare il loro mondo interiore contro un mondo digitale, disumanizzato e artificiale.
Il titolo della mostra è ispirato a uno dei primi tweet del 2025 di Sam Altman (CEO di OpenAI), il formato della storia in sei parole, un giochino reso popolare dalla rivista Wired, invitando scrittori a sintetizzare una storia o un concetto in sei parole con il fine di valorizzare sintesi visiva e creatività. La curatrice prende spunto dal tema condensato da Altman, incentrato sull’evoluzione dell’Intelligenza Artificiale, e ha dichiarato: <<Tramite il titolo della mostra, contrappongo l’intelligenza artificiale (di cui parliamo sovente e per lo più a sproposito, guidati per lo più dalla paura che l’ignoto che incombe sul nostro futuro produce), all’intelligenza artistica umana (che forse sarà l’unica delle nostre facoltà a non essere rimpiazzata dall’AI). La mostra mette in evidenza quello che reputo essere l’aspetto più significativo dell’umanità: l’intelligenza creativa, capace di porci difronte a nuovi scenari immaginifici, prodotta dai veri artisti e non sedicenti tali; intendo quelli unici e riconoscibili per la loro visione distintiva anche nel progredire dell’Intelligenza artificiale>>.

Fatta tale premessa, vi sorprenderà di trovare in galleria oltre venti ritratti di simpatici mostriciattoli umanizzati, clown fumettistici-fiabeschi di Antony Coleman, artista autodidatta, autistico, che si esprime tramite il disegno e colori, con la scultura in peluche e altre opere di Guadalupe Salgado, capaci di evocare civiltà sepolte e simboli junghiani.
In maniera differente, gli artisti analizzano derive stranianti dell’umanità dai comportamenti non sempre prevedibili; in questa galleria sotterranea tutto è singolare (parafrasando il titolo della mostra) e nessuno è normale! Lo spettatore, aggirandosi sorpreso tra coloratissimi disegni ‘primitiveggianti’, o per qualcuno naif in perfetto stile Art Brut, assimilabili a miti dell’antichità egizie o altre civiltà scomparse di Coleman, e le intriganti sculture o installazioni totemiche di Salgado, artista che rivisita in maniera critica la storia dell’umanità in chiave ludica, potrà rievocare in chiave pop culture sepolte di chissà quale parte dell’America Latina o altri mondi immaginari.

Questa mostra documenta che l’arte sta proprio nella testa e anima degli artisti non lineari, contro stili e mode, sempre liberi di essere ciò che immaginano e producono. Tutti gli artisti sono cleptomani, lo diceva già Pablo Picasso, rubano qua e là arti passate, ma quelli unici e originali sanno rielaborare vecchi codici visivi in nuove forme e scenari, generando un pensiero autonomo sulle evoluzioni di un’umanità tesa verso l’artificialità attraverso la tecnologia, comunque magica perché include e tutela l’Intelligenza artistica: un linguaggio universale, quando è onesto, ironico, poetico, spontaneo e istintivo.

Il soggetto della mostra è l’umanità, già affrontato dalla curatrice nella mostra collettiva The History of Humanity (2023), per un’arte effimera ma necessaria, soprattutto creata da artisti che non stanno cercando di essere altro che loro stessi, come prassi di libertà espressiva e vocazione visionaria.