
Portland Art Museum.
Dopo due anni di assenza, il celebre dipinto Ninfee di Claude Monet tornerà in esposizione al Portland Art Museum il prossimo 1 marzo. Tuttavia, la tela che i visitatori vedranno non è più “la stessa”: un meticoloso intervento di restauro ha riportato alla luce le sfumature originali del maestro impressionista, cancellando decenni di alterazioni e restituendo all’opera la visione autentica dell’artista.
“Alcuni trattamenti di conservazione sono necessari per risolvere problemi strutturali, ma in questo caso si trattava di ripristinare l’estetica originale del dipinto”, ha spiegato Charlotte Ameringer, restauratrice capo del museo. Quando le Ninfee entrò a far parte della collezione nel 2022, Ameringer notò subito che la tela appariva appiattita e priva della sua naturale armonia cromatica. Il motivo? Uno strato di vernice acrilica applicata decenni fa, che aveva saturato i colori e compromesso l’effetto pittorico voluto da Monet.
Monet, come molti impressionisti, preferiva una superficie opaca, evitando la verniciatura perché alterava la profondità dei suoi dipinti e tendeva a ingiallire con il tempo. Anzi, per ottenere una resa più asciutta e “pastosa”, era solito filtrare i suoi colori a olio con una garza. Tuttavia, agli inizi del XX secolo, il mercato dell’arte non era pronto per tele così incomplete rispetto agli standard accademici. Molti collezionisti e mercanti decisero quindi di verniciare le opere degli impressionisti, spesso senza il loro consenso, per renderle più vendibili.
Il restauro delle Ninfee è stato un lavoro di precisione assoluta. Per nove mesi, Ameringer ha rimosso con pazienza la vernice, utilizzando un sottile spiedino di bambù avvolto in un batuffolo di cotone imbevuto di solvente. “È stato un aspetto apparentemente semplice, ma in realtà molto complesso”, ha raccontato la restauratrice, soprattutto perchè la sfida principale era quella di eliminare la vernice senza intaccare la pittura sottostante, sfruttando la differenza di solubilità tra l’acrilico e gli oli originali di Monet.

Eppure, nonostante il successo del restauro, le Ninfee non potrà mai tornare esattamente come sarebbe stato se non fosse mai stato verniciato. “Non importa cosa faccia, non potrò mai rimuovere ogni singola molecola di vernice senza rischiare il dipinto”, ha spiegato Ameringer. “E c’è anche un altro fattore: il tempo. Un’opera che ha subito interventi non avrà mai lo stesso aspetto di una che è rimasta intatta per oltre un secolo”.
Per guidare il restauro, Ameringer si è ispirata ad altri dipinti non verniciati di Monet dello stesso periodo, utilizzandoli come “stella polare” nel processo. Il risultato è un capolavoro che, dopo decenni, finalmente riflette la sensibilità cromatica e la straordinaria tecnica dell’artista.
L’opera restaurata sarà il fulcro della mostra Monet’s Floating Worlds at Giverny, in cui il pubblico potrà esplorare il contesto storico e artistico in cui il maestro francese operava. Tra i materiali esposti, una selezione di stampe giapponesi illustrerà l’influenza dell‘ukiyo-e su Monet e sugli impressionisti. Il pittore, infatti, collezionava avidamente opere di artisti come Toyokuni e Hiroshige, che decoravano le pareti della sua casa a Giverny.
Dopo aver trascorso quasi due anni a stretto contatto con le Ninfee, Ameringer ha sviluppato una profonda comprensione del metodo di Monet. “Ogni pennellata è esattamente dove dovrebbe essere”, ha osservato. “Quando ha dipinto questa tela, aveva già più di settant’anni e il pieno controllo della sua arte. Il restauro mi ha permesso di vedere il dipinto quasi con gli occhi di Monet, comprendendo a fondo la sua maestria”.
Ora, con il suo splendore originale recuperato, il quadro pronto a risplendere di nuovo, offrendo al pubblico un’esperienza visiva più autentica e immersiva. Il ritorno dell’opera non è solo una celebrazione del genio di Monet, ma anche un tributo alla conservazione dell’arte, affinché le generazioni future possano ammirarla esattamente come lui l’aveva immaginata.