
Anteprima dell’anteprima per ArtsLife tra i corridoi di ARCO Madrid, la 44ma edizione della fiera che apre ufficialmente tra poche ore a vip e stampa. Cosa abbiamo visto tra allestimenti in corso e stand già conclusi? Senza ombra che il Belpaese ha portato in Spagna una serie di stand degni di attenzione
“Gli italiani lo fanno meglio” potrebbe essere il titolo ideale per la 44ma edizione di ARCO Madrid, che si distingue ad un primo colpo d’occhio per gli ottimi allestimenti delle gallerie italiane, tre in particolare: Monitor, Martina Simeti, P420 e Gilda Lavia.
Monitor di Paola Capata (Pereto, Roma e Lisbona), presenta un solo show di Maya Escher, artista di origine tedesca ma nata nelle zona dell’Alentejo, in Portogallo. Escher allestisce una scultura che occupa l’intero spazio dello stand, realizzata in tessuti colorati con terre provenienti proprio dall’entroterra portoghese: una proposta che crea un dialogo forte con il paesaggio e con una serie di nuove sculture in terracotta, presentate a parete.

Di solo show si tratta anche rispetto allo stand di P420 (Bologna) con Adelaide Cioni, già protagonista ad Arte Fiera per la sua operazione al Padiglione dell’Esprit Nouveau, che ad ARCO riempie lo spazio di tessuto quadrettato e alle pareti mostra sei grandi tele dalle forme “elementari”.
Martina Simeti (Milano) è invece alla sua prima ARCO, ed è a lei che – senza ombra di dubbio – va il primo premio, anzi, all’artista Alek O., che ha concepito l’interno stand. Qui, un grande tappeto di zerbini riciclati e assemblati in poligoni di differente natura, una serie di nuove lampade-scultura, a cui sono associate alcune opere-sculture in zucchero installate in cornici-cassetti vintage degli anni Ottanta (appartenenti alla serie che fu presentata in anteprima a Panorama L’Aquila, nel 2023), dialogano con tre grandi tele di Paolo Chiasera. Uno degli allestimenti più originali non solo tra gli italiani, ma di tutta la fiera dove, anche quest’anno, prevale la cautela (si accettano smentite).


Un altro stand che si fa notare per la sua audacia è quello di Gilda Lavia (Roma) che allestisce un ventaglio di casse contenenti fotografie, a terra, impedendo quasi completamente la visione e trasformando lo spazio in una scultura: è l’opera di Petra Feriancova, e tra i vicini lo stacco è bello deciso.
Anche Pinksummer si distingue per il dialogo tra Peter Fend e Tomás Saraceno, che funziona particolarmente bene. Tra le opere presenti da Francesca Minini e Massimo Minini, oltre a Peter Halley e Jacopo Benassi c’è Elena Damiani, attualmente in mostra in galleria nella sede di Milano, i cui lavori operano in un dialogo tra marmo e rame specchiato, creando anche affascinanti distorsioni percettive. Da Prometeo Gallery, Sandra Gamarra – protagonista del Padiglione Spagna alla Biennale 2024 merita attenzione: anche in questo caso l’artista riflette, con una pittura “installativa” sul ruolo del museo e, anche, su quello dell’artista nel sistema di produzione. Vistamare schiera i suoi cavalli di battaglia: Rosa Barba, Claudia Comte, Ettore Spalletti, tra gli altri; idem Studio Trisorio, tra cui Christiane Löhr e Jenny Holzer.


Infine, un italiano in una galleria che italiana non è, ma che è un altro pezzo non trascurabile di questa ARCO: Giorgio Griffa, con il suo Dionisio Due, installazione monumentale degli anni ’80 (garze bianche sulle quali spiccano i toni tipici di Griffa) riproposta dalla galleria madrilena Rafael Pérez Hernando, in dialogo con l’artista Joan Hernández Pijuan (Barcelona, 1931-2005). “Nel nostro decimo anno di partecipazione alla fiera, vogliamo fare un viaggio nel tempo per recuperare il progetto con cui abbiamo debuttato nel 2015: un duetto tra Pijuan e Griffa. […] Dionisio due è una seconda versione di una delle creazioni più emblematiche realizzate da Griffa negli anni Ottanta, recuperata per essere finalmente mostrata per la prima volta e che ha fatto parte del nostro programma estivo a Santa María de Bujedo de Juarros, a Burgos”, spiegano dalla galleria.
Vecchi leoni, in un’arena dove si continua a privilegiare la piccola dimensione, con una quasi totale assenza di fotografia, numerosi disegni, qualche sparuto neon e pochissime grandi installazioni. Un formato più contenuto e intimo, non per questo meno originale, ma di certo un po’ flat.