Print Friendly and PDF

In The Sign. Vespa: un mito su due ruote

Nella pellicola Vacanze Romane vediamo Gregory Peck portare in giro Audrey Hepburn per le strade romane su una Vespa 125, la V30T, detta anche Farobasso, 1953 ©Courtesy Everett Collection
Vespa protagonista in “Luca”, il film d’animazione Disney Pixar
Pochi oggetti al mondo hanno la stessa forza evocativa della Vespa. Nata nel 1946 dal genio di Corradino D’Ascanio per Piaggio, è molto più di uno scooter: è un’icona della cultura italiana.

Dal lontano 1953, quando Audrey Hepburn e Gregory Peck sfrecciavano per le strade di Roma in Vacanze Romane, la Vespa ha continuato a brillare sul grande schermo, diventando una vera e propria “stella” cinematografica. Il cinema italiano degli anni ’50 e ’60 l’ha consacrata come simbolo di libertà e leggerezza: chi non ricorda i protagonisti di Poveri ma Belli di Dino Risi o il fascino senza tempo de La Dolce Vita di Fellini, con la Vespa testimone di notti romane e sogni impossibili? Da allora, ha affiancato personaggi indimenticabili in cult come American Graffiti, Il Talento di Mr. Ripley, The American ed è comparsa persino nella satira irriverente di Zoolander 2. Anche negli ultimi anni, il mito della Vespa è tornato a solcare le strade del grande schermo: da Russell Crowe ne L’Esorcista del Papa, al nostalgico inno alla Riviera ligure in Luca della Pixar, fino a Chiamami col tuo Nome di Luca Guadagnino e al romantico L’Amore all’improvviso, con Tom Hanks e Julia Roberts.

 

Armie Hammer, “Call me by your name”, 2017
Jude Law in “Alfie”, 2004 © Paramount/Courtesy Everett Collection

Un simbolo, dunque, che non ha mai smesso di raccontare storie, attraversando epoche e generazioni con il suo inconfondibile fascino.
Questo, a dimostrazione del fatto che quando trattiamo, in questa rubrica, delle vicende giudiziarie che riguardano queste icone e gli esiti dei procedimenti che le vedono protagoniste, stiamo (davvero) solo raccontando una parte della loro storia.

A pronunciarsi sulla tutelabilità della Vespa è stata recentemente la Corte di Cassazione, di fronte a cui è stata posta una questione che mette a confronto la proteggibilità della celebre due ruote ai sensi del diritto d’autore come opera del design, da una parte, e la sua registrabilità come marchio (nel caso di specie, tridimensionale), dall’altra. Ma andiamo con ordine.

Nel 2017, il Tribunale di Torino ha stabilito che le forme della Vespa, a partire dal suo prototipo del 1945/1946 fino alle sue evoluzioni più recenti, costituiscono un’opera di design industriale meritevole di tutela autoriale. Secondo i giudici sabaudi, le “sinuosità” della Vespa, nel corso delle decadi, hanno trasceso la loro funzione originaria meramente industriale, rendendo quello che, nella pratica, è un mezzo di trasporto a due ruote, un’icona estetica e culturale, celebrata in innumerevoli pubblicazioni, mostre, musei, eventi di settore e apparizioni in film, pubblicità e fotografie entrate nell’immaginario collettivo.

 

Nella pellicola Vacanze Romane vediamo Gregory Peck portare in giro Audrey Hepburn per le strade romane su una Vespa 125, la V30T, detta anche Farobasso, 1953 © Courtesy Everett Collection

Secondo la controparte di Piaggio in tale giudizio – i produttori di veicoli asiatici che si erano (molto) ispirati alle forme della Vespa – il riconoscimento della tutela autorale della sua silhouette implicherebbe l’impossibilità, per i suoi produttori, di mantenere la protezione di tale forma anche come marchio tridimensionale. Va infatti fatto presente che, con evidente lungimiranza, Piaggio aveva richiesto e ottenuto in Italia la registrazione del modello Vespa LX del 2005 come marchio tridimensionale già dal 2013, per le classi nn. 12 (scooter) e 28 (modelli di scooter).

Cercando di semplificare il più possibile, ciò che i produttori concorrenti sostenevano era che se alla Vespa fossero state riconosciute delle qualità estetiche e artistiche tali da conferirle lo status di opera del design industriale, ciò avrebbe significato che la sua silhouette (ovvero la sua forma) sarebbe stata automaticamente il suo elemento più caratterizzante, tanto da impedirne la registrazione come marchio secondo le disposizioni del codice di proprietà industriale applicabili in materia.

Sia in primo grado che in appello, i giudici hanno dato ragione a Piaggio, escludendo di seguire tale ragionamento. Ciò, in quanto l’acquirente di un veicolo – la cui principale funzione è quella di consentire la mobilità a motore – effettua una scelta che va oltre la pura estetica, tenendo conto di molteplici fattori, tra cui le prestazioni, il consumo, la sicurezza, l’affidabilità, ecc.
In particolare, la Corte d’Appello ha sottolineato che la valutazione della nullità di un marchio richiede una delicata comparazione tra l’aspetto puramente estetico e le caratteristiche utilitarie del prodotto: la presenza nel modello di «indubbie qualità estetiche e artistiche» non ne determina automaticamente la natura di «forma che dà un valore sostanziale al prodotto», poiché la forma della Vespa resterebbe comunque connessa «alla funzione utilitaristica del prodotto che la incorpora e che, per la sua natura di veicolo, viene verosimilmente scelto dal consumatore per le notorie qualità in termini di prestazioni, sicurezza ed affidabilità» ed «anche», ma non in misura prevalente e determinante, per «le qualità estetiche».

 

American Graffiti, 1983

In altre parole, per quanto una Vespa possa essere bella, il consumatore che non la ritenesse tecnicamente adatta alle sue esigenze, non la comprerebbe. Si tratta di una conclusione che, sul piano sostanziale, si traduce nel fatto che la tutela autorale di un oggetto di design industriale e la sua protezione come marchio, quindi, dovrebbero poter coesistere.

Ed è qui che arriva il colpo di scena. La Corte di Cassazione, con una sentenza pronunciata a fine 2023, si dichiara in disaccordo con questo ragionamento, affermando che, pur essendo distinti i presupposti della tutela autorale e della registrazione come marchio, il valore artistico di un’opera di design industriale implica, nella maggior parte dei casi, anche l’attribuzione di un «valore sostanziale» assorbente.

Riferendosi alla giurisprudenza unionale (Corte Gius., 18 settembre 2014, C-205/13 Stokke), la Cassazione ha confermato che il valore sostanziale di una forma può essere valutato in base a criteri oggettivi: il riconoscimento artistico, la distinzione rispetto ad altre forme di mercato, la rilevanza del suo posizionamento di prezzo e le strategie promozionali che enfatizzano il suo “appeal” estetico. Per la Suprema Corte, il caso della Vespa rappresenta un perfetto esempio di questa dinamica: il riconoscimento del suo valore artistico come opera di design, alimentato da decenni di celebrazione culturale, ha determinato una “forza attrattiva” tale da condizionare in larga misura le scelte dei consumatori (che, quindi, sarebbero portati ad acquistarla anche qualora, sotto il profilo tecnico – prestazionale, la Vespa non fosse la loro “migliore opzione”).

È per questa ragione che le sue forme possono essere tutelate ai sensi della legge sul diritto d’autore come opera di design industriale, ma non, al contempo essere “monopolizzate” attraverso la registrazione di un marchio tridimensionale. La parola “monopolio” non viene utilizzata a caso. Per chi si domandasse “perché” la decisione sia rilevante, dal momento che comunque la creazione di Piaggio non è rimasta sfornita di tutela, la risposta è semplice: la tutela garantita dalla legge sul diritto d’autore è destinata a esaurirsi (70 anni dalla morte dell’autore e, in caso di più coautori, dalla morte dell’ultimo di questi), mentre quella garantita dalla registrazione di un marchio, no – fintanto che questo viene rinnovato (di 10 anni in 10 anni). Una decisione che (con le dovute ponderazioni, ovviamente) ha il sapore del mito di Icaro, che volando troppo vicino al sole, ha finito per farsi del male.

Il caso Vespa si inserisce certamente in un dibattito più ampio, che coinvolge non solo il diritto, ma anche la cultura del design e la percezione dell’arte. Se un prodotto industriale diventa un simbolo estetico riconosciuto universalmente, appartiene ancora al mondo del commercio, o deve essere considerato parte del patrimonio artistico collettivo? La risposta della Cassazione sembra chiara: il design, quando assurge a mito, non può più essere imprigionato in un marchio.

In The Sign è realizzata dal team di LCA Studio Legale

Commenta con Facebook