
@SpazioC21 2022
SpazioC21, un luogo di riferimento a Reggio Emilia per artisti e ricerche che guardano alle sottoculture metropolitane, al nuovo muralismo e il graffiti writing. Un’intervista ai fondatori Eugenio Sidoli e Sandra Varisco per capire i progetti, le prospettive e la nuova mostra in corso dell’artista Stefano Serretta.
SpazioC21 è un luogo che ospita ricerche di artisti con radici nell’underground e nelle sottoculture metropolitane come il graffiti writing, il nuovo muralismo, e non solo. Negli anni si sono succeduti artisti sia italiani che internazionali tra cui Antwan Horfee, Moses & Taps, Nuria Mora, Gonzalo Borondo, Escif, Valerio Polici, Canemorto, 108, Giorgio Bartocci. Quali sono le motivazioni e le necessità che vi hanno spinto ad interrogarvi su questi tipi di pratiche artistiche?
L’urgenza nasce probabilmente dalla nostra esperienza come collezionisti.
Sono più di venti anni che Sandra e io acquisiamo opere d’arte. Ci siamo avvicinati al contemporaneo senza sceglierlo, per caso, appena sposati. Era il 2003 e vivevamo in Serbia. La nostra prima casa aveva qualche mobile ma tante pareti vuote.
Con l’azienda per la quale lavoravo avevo finanziato un concorso per giovani artisti ed è così che abbiamo incontrato creativi formati in un’ottima accademia ma ostaggi di un regime visa molto restrittivo in un paese senza un mercato per le loro opere.
Abbiamo acquistato i primi dipinti, sculture e fotografie frequentando studi, garage e sottoscala. Direi che è lì che tutto ha avuto inizio, anche se il nostro primo Obey lo abbiamo acquistato solo nel 2008.
Al principio la nostra ricerca è stata molto libera. Ci siamo lasciati guidare dall’istinto e dai consigli di un amico artista. Nei primi anni abbiamo acquistato solo opere che ci piacevano, senza la visione necessaria per realizzare una collezione.
Quella è venuta dopo, quando abbiamo scelto di “specializzarci”, esplorando quella cultura metropolitana, un po’ anarchica, pubblica ma non autorizzata, che ci ha fatto da colonna sonora e visiva in ogni città dove abbiamo vissuto.

Per scoprirla abbiamo cercato informazioni e studiato. Il web è stato uno strumento fondamentale per stabilire contatti fuori dai canali tradizionali ed in quindici anni ci siamo accreditati con chiunque trattasse il genere in giro per l’Europa e gli USA; abbiamo frequentato studi, eventi e festival; abbiamo acquistato centinaia di libri, zines, riviste ed ephemera; abbiamo conosciuto altri collezionisti, curatori e critici.
Nei centri sociali, nei laboratori autogestiti e nei collettivi artistici abbiamo incontrato ragazzi dotati di grande talento e di una straordinaria sensibilità umana. Abbiamo scelto ed acquisito opere, poi ad un certo punto ci siamo arrischiati a commissionare lavori al buio e – dal 2012 – ci siamo progressivamente spostati verso le commissioni in residenza, affittando spazi per far lavorare artisti che invitavamo ed ospitavamo a casa nostra. L’esperienza delle residenze ci ha messo a contatto diretto con un sistema di relazioni e di valori che ci ha conquistati ed ha influenzato il nostro rapporto con gli artisti. Ammiriamo questa generazione di giovani e crediamo nel percorso che stiamo facendo insieme a loro, a maggior ragione perché il sistema dell’arte ha un pregiudizio nei loro confronti e – soprattutto in Italia – non se ne occupa…
La prima mostra di SpazioC21 ha inaugurato nel 2018; dopo i primi sei anni di lavoro com’è maturato il progetto e quali sono ad oggi i vostri obiettivi?
SpazioC21 è stato ambito espositivo prima di essere galleria. Originariamente era un magazzino per custodire la nostra collezione. Quando abbiamo deciso di realizzare una mostra personale di BR1 – un “one-night-show” nel contesto di Fotografia Europea 2018 – abbiamo dovuto dare un nome al luogo dell’evento per spedire gli inviti. Abbiamo optato per “spazio” e non per galleria perché rifuggivamo l’idea di diventare anche galleristi. Il nome riflette quell’originaria tensione.
È solo grazie alla fiducia dei nostri amici artisti e curatori che abbiamo successivamente deciso di fare un passo verso la galleria, cercando di mantenere un’identità differenziante: la produzione in residenza.
Nei sei anni passati abbiamo concepito un format originale di galleria online con spazio espositivo; realizzato venti mostre e finanziato altrettanti progetti; prodotto opere su tela, ceramica, legno, vetro e metallo; pubblicato molti libri; ospitato vernissage e finissage; siglato una partnership con una rivista; e trovato acquirenti per molte opere.
Il nostro sito www.spazioc21.com documenta il lavoro realizzato dal 2018 ad oggi e le collaborazioni con istituzioni e altre gallerie.
Se tra dieci anni fossimo ancora qui, vorremmo che SpazioC21 fosse un riferimento autorevole per la generazione di artisti con i quali stiamo crescendo.

Agli artisti selezionati spesso proponete una residenza di avvicinamento alla mostra. Che ruolo ha, per voi, questo tempo di progettazione e produzione e qual è il vostro rapporto con gli artisti?
Tutti gli artisti con i quali collaboriamo passano attraverso un lavoro su commissione in residenza. È un momento di test e di scoperta per entrambi. Se funziona, in qualche caso discutiamo la realizzazione di una mostra nella galleria.
Finanaziamo interamente le mostre che realizziamo: definiamo un budget per i progetti, anticipiamo i costi di produzione e acquisiamo qualche opera per remunerare il tempo che l’artista ha investito nel progetto; infine, dedotti i costi, dividiamo il margine in caso di vendita.
Abbiamo capacità per sei sole mostre all’anno, per questo pianifichiamo con mesi di anticipo e finanziamo solo produzioni di qualità con progettualità innovative; ci piace pensare di essere un partner per ricerca e sviluppo; interveniamo infatti in quei progetti che richiedano la capacità di assumere un rischio. La nostra programmazione è molto selettiva. Alterna artisti italiani e stranieri ed ambisce a portare a Reggio Emilia gli autori più significativi della scena nazionale e internazionale che frequentiamo.
Nelle settimane della commissione trascorriamo molto tempo con l’artista (o gli artisti) ed approfittiamo dell’occasione per condividere esperienze, idee, amici e visite a luoghi. In una residenza ben riuscita il rapporto con l’artista diventa complice e, se ci siamo trovati bene, è anche l’inizio di un’amicizia.

La vostra esperienza nasce dal collezionismo e il progetto di SpazioC21 è anche un modo per sostenere il mercato di un segmento spesso esterno ai circuiti ufficiali dell’arte contemporanea. Come vedete oggi in Italia il mercato del collezionismo riferito a questo tipo di ricerca?
Il nostro ruolo di collezionisti condiziona molto la nostra pratica di galleristi.
SpazioC21 è nato per supportare il lavoro di artisti che operano in uno spazio creativo alieno, ai margini del mercato. Per questo è spazio di progettazione, produzione e promozione, più un’officina creativa che una galleria commerciale.
Cerchiamo di fare bene un lavoro di divulgazione in cui la parte commerciale è un fatto secondario. Sandra e io abbiamo una visione romantica del ruolo del gallerista: non siamo solo una controparte nella vendita del lavoro, ma un “partner” nell’impresa, un investitore e un mentore. I collezionisti che ammiriamo si rapportano in modo complice con gli artisti che amano ed hanno un ruolo importante nello sviluppo del loro lavoro. Noi crediamo che parte del nostro ruolo sia questo, oltre a spingerli fuori dalla loro area di comfort, sollecitandoli a confrontarsi con i loro limiti.
Avete deciso di aprire SpazioC21 a Reggio Emilia, lontani dal rumore dell’arte contemporanea di città come Milano, Torino o Roma. Come vivete questa distanza e che potenzialità ha la provincia rispetto a luoghi che hanno, o credono d’avere, una maggiore famigliarità con l’arte contemporanea?
SpazioC21 non poteva nascere altrove. Reggio Emilia è casa, la mia città natale e quella adottiva di Sandra; la città in cui abbiamo preso residenza dopo venti anni di vita tra Belgrado, Madrid e Roma. Nonostante sia una città di provincia, è ben collegata ed è centrale in una terra operosa che offre opportunità anche ad una piccola impresa come la nostra; per esempio, possiamo contare su una filiera di qualità, professionisti e artigiani che custodiscono competenze che vanno scomparendo e che ci permettono di pensare, proporre e realizzare progetti ambiziosi. Milano, Bologna e Torino sono meglio posizionate per ingaggiare un pubblico più familiare con l’arte che trattiamo, ma non hanno il vantaggio del territorio, dove la produzione è più agevole e i costi sono inferiori.

Fino al 12 aprile sarà visitabile la mostra FURYO, failed utopia: requiem for a youthful opposition di Stefano Serretta, un allestimento che capovolgendo la tradizionale gerarchia espositiva, restituisce un ritratto generazionale a cavallo tra gli anni Novanta e i primi Duemila. Come vi siete approcciati a questo progetto?
FURYO è l’archetipo del progetto che soddisfa le condizioni per accedere a SpazioC21: è innovativo, sorprendente, sperimentale, complesso, raffinato…
È anche un progetto poetico, contiene un messaggio politico ed è un’elaborazione intellettuale contemporaneamente autobiografica e biografica. I marmi di Stefano Serretta sono una capsula “nel tempo della sua generazione”, i testi critici che accompagnano la mostra sono una finestra sulle inquietudini dell’artista ed il libro che racconta l’evoluzione del progetto è un piccolo gioiello editoriale.
La genesi di FURYO risiede in un’affinità elettiva, in una chimica virtuosa tra i collezionisti-galleristi, l’artista, la sua compagna e un curatore amico di tutti. È stato quest’ultimo ad intuire la possibilità di un sodalizio. Sandra e io abbiamo solo creato le condizioni perché si realizzasse e oggi possiamo dire, con soddisfazione, che FURYO è uno dei progetti più interessanti ospitati fino ad oggi a SpazioC21.
