
Serpenti in alluminio: Cm 75, Serpenti in bronzo argentato: Cm 80 Serpenti in bronzo bianco: Cm 102, Courtesy: l’artista e Tucci Russo Studio per l’Arte Contemporanea, Torre Pellice e Torino, Foto: Archivio fotografico Galleria Tucci Russo
Dopo la lunga collaborazione con Tucci Russo, Gianni Caravaggio approda per la prima volta nella sede torinese della galleria con la mostra “E mentre il fiume scorre”, accompagnata da un testo dello stesso artista
La mostra si compone di una serie di opere, tra installazioni e sculture e alcuni lavori su carta a parete. Ma a completare il tutto c’è anche una sorta di ready made naturalistico. Il titolo della mostra evoca infatti lo scorrere del fiume Po, che attraversa il capoluogo sabaudo, e che per l’occasione è trasformato da Gianni Caravaggio in una sorta di ready-made naturale. Il fiume che scorre funziona concettualmente come una corda tesa tra spazio e tempo: è il tempo che si muove, e che percepiamo grazie allo spostamento dell’acqua nello spazio. Ed è proprio tra spazio e tempo e loro interazione poetica che si articola tutto il progetto espositivo.

Nelle prime due sale sono presenti due installazioni che portano il titolo comune Ci mancheremo di nuovo. Ma è come se le sale fossero un unico spazio, preso però in due momenti temporali tra loro differiti e collocabili a piacere tra prima e dopo di un’azione sospesa, forse perduta, oppure di un destino che si compie. Per terra ci sono tre serpenti realizzati con diversi metalli, che appaiono simili tra loro eppure radicalmente diversi per natura. In una sala (non dico la prima, perché la scansione temporale tra i due spazi è a discrezione del visitatore) i tre serpenti sembrano colti nell’atto di avvicinarsi l’uno all’altro, in un movimento triangolare che pure evoca la circolarità del mitico Uroboro. Sono forse pronti a mordersi, o a realizzare un allaccio di destini, chi può dirlo. Nell’altra sala ci accorgiamo che i tre serpenti hanno però preso altre direzioni, ognuno la propria, senza incontrarsi. C’è il senso di un incontro perduto, di un evento mancato, di un’occasione smarrita tra le trame del tempo, oppure di un disastro fortunatamente evitato. Qualcosa che poteva essere ma non è stato genera un senso di sottile tensione, di attesa. C’è il senso di un destino che forse si è semplicemente realizzato, e insieme la nostalgia di una possibilità andata, per caso, sprecata. L’opera non dice quale delle due opzioni sia la più veritiera, lascia a noi la scelta, o meglio lascia sospesa la sensazione di qualcosa di non espresso, non accaduto, che proprio nel suo non avverarsi genera però una sorta di sospesa energia. È una specie di evento-non-evento, qualcosa che accade perché non si realizza o, chissà, è ancora da realizzarsi.
Una terza sala mostra una serie di coriandoli brillanti, lasciati cadere su una forma cilindrica che ha l’apparenza visiva di un corpo ghiacciato. Happy Heavy Winter è il titolo del lavoro dalla delicata capacità evocativa e poetica, che suscita, nel quadro della primavera nascente, un’immagine invernale, ancora una volta con uno spostamento spazio-temporale che dà da pensare e immaginare.

Completano il percorso espositivo le opere della serie Aletheia, dove la verità heideggerianamente si mostra mentre si nasconde dietro (ma anche oltre, davanti, dentro e tutto intorno) fragili sipari di carta spalancati, e alcuni disegni dove tanti piccoli cerchi concentrici realizzati a grafite evocano quelli disegnati sull’asfalto quando cade la pioggia.
Come sempre, l’opera di Gianni Caravaggio si presenta, così, come un poetico invito alla riflessione, personale e filosofica, che si gioca tra le forme e lo spazio, tra il tempo e l’immaginazione, ma che è anche ricca di un silenzioso ma pregno sentimento. L’allusione al non detto, al non visto di cui pure avvertiamo la presenza, funziona come un dispositivo quasi più immaginifico che concettuale, che evoca mondi, spazi, percezioni e immaginazioni potenzialmente infiniti e carichi di poesia.
L’evento è a cura di Lisa Tucci Russo e lo stesso Gianni Caravaggio.