
A Washington è arrivato il verdetto: Timothy Martin, attivista climatico di 55 anni, è stato giudicato colpevole per aver deturpato con vernice rossa e nera la teca che protegge una delle opere più iconiche dell’Impressionismo: La piccola ballerina di quattordici anni di Edgar Degas.
Il gesto, avvenuto nell’aprile 2023 alla National Gallery of Art, non ha danneggiato la scultura originale, ma ha comunque sollevato un polemiche, dentro e fuori i tribunali.
Il caso si inserisce in un contesto politico incandescente: mentre le tensioni sul clima crescono, soprattutto alla luce dei tentativi del presidente Donald Trump di smantellare le politiche ambientali dell’amministrazione Biden, gruppi come Declare Emergency — a cui Martin appartiene — moltiplicano azioni clamorose.
Per Martin, la protesta era un allarme disperato. La sua azione, spiega, non aveva l’intento di danneggiare l’opera — “ho usato vernice lavabile, ho colpito solo la teca” — ma di scuotere le coscienze su una crisi climatica che definisce “senza precedenti”. Nonostante le intenzioni, il gesto gli è costato una condanna per cospirazione contro gli Stati Uniti e danneggiamento di una mostra federale. La sentenza è attesa per agosto: rischia il carcere e multe salate.

Ma Martin non è il solo. Joanna Smith, altra attivista coinvolta, si è già dichiarata colpevole e ha ricevuto una condanna a 60 giorni di prigione, una multa di 3.000 dollari e dovrà un risarcimento di oltre 4.000. Anche lei faceva parte delle azioni di Declare Emergency, protagonisti di episodi eclatanti come il danneggiamento di un monumento ai soldati afroamericani della Guerra Civile.
La domanda ora è: dove finisce il diritto alla protesta e inizia la tutela del patrimonio collettivo? Una risposta, forse, arriverà ad agosto, con la sentenza definitiva di Martin, ma per ora il dibattito rimane aperto (e infuocato).