
Settanta opere chiave provenienti da prestigiose realtà museali internazionali raccontano a Venezia il percorso creativo della portoghese Vieira da Silva
“Forse non è una coincidenza che un’opera spartiacque nel percorso artistico di Vieira da Silva sia una rappresentazione astratta di uno spazio interno. La Chambre à carreaux (La camera piastrellata, 1935) raffigura una stanza piastrellata composta da quadrati e losanghe che fluiscono e rifluiscono in una composizione ritmica di colori complementari e dissonanti”. Queste parole, tratte dal testo in catalogo della curatrice Flavia Frigeri, introducono con efficacia il filo conduttore della mostra Maria Helena Vieira da Silva. Anatomia di uno spazio, appena inaugurata alla Collezione Peggy Guggenheim di Venezia.

Nell’immaginario collettivo di larga parte degli osservatori l’opera della grande artista portoghese si iscrive infatti per le eleganti e raffinate partiture astratte, portatrici di una lunga (si può facilmente risalire fin a Paolo Uccello) tradizione di dialogo fra superficie e linee di fuga che proiettano la rappresentazione nello spazio. Ma questa preziosa mostra ci introduce al complesso dell’opera di Vieira da Silva, con un necessario focus su dipinti inizialmente molto legati alla contingenza storico-sociale e al turbamento interiore dell’autrice. La sua pittura non abbandona mai del tutto il legame con la realtà, evocando spazi concreti – città, biblioteche, interni architettonici – con codici visivi che solo gradualmente si dissolvono in fitte e complesse trame.
Realismo mentale
Quello della pittrice è un realismo più mentale, metabolizzato dal suo sguardo interiore e riproposto con architetture esistenziali. I riferimenti alla realtà sono decostruiti e ricomposti, mai negati. “Amo dipingere lo spazio”, sintetizzava lei stessa, indirizzando appunto la lettura del suo lavoro nella rappresentazione dello spazio: reale e immaginario. In questo contesto rivendica come fondamentale l’incontro, avvenuto nel 1931, con un ponte trasportatore nel vecchio porto di Marsiglia. “La leggerezza di questa struttura architettonica”, scrive ancora Frigeri, “con i cavi sospesi nell’aria, continuerà a influenzare la sua percezione dello spazio come forma fluida e senza vincoli. Il primo accenno all’impatto che la città, con questa novità architettonica, esercita su Vieira da Silva emerge in Marseille Blanc (1931), che raffigura un’impalcatura di legno nelle immediate vicinanze di un complesso residenziale”.

Diventa dunque questo piccolo dipinto il fulcro di una mostra che documenta attentamente il percorso creativo dell’artista attraverso una selezione di circa settanta opere chiave. Provenienti da prestigiose realtà museali internazionali, tra cui Centre Georges Pompidou di Parigi, il Guggenheim di New York, il Museum of Modern Art di New York, la Tate Modern di Londra. Nata a Lisbona, in Portogallo, nel 1908 Vieira da Silva si trasferì a Parigi nel 1928, dove ebbe inizio la sua vera formazione artistica. Frequentò l’Académie de la Grande Chaumière e studiò con alcuni dei più influenti artisti e insegnanti dell’epoca, tra cui Fernand Léger e Stanley William Hayter. In questo ambiente internazionale e vivace conobbe le correnti artistiche più innovative, come il cubismo, il surrealismo e l’arte astratta, che influenzarono profondamente la sua evoluzione stilistica.
La complessità del mondo
“Di regola non mi piacciono le opere che sbandierano le proprie complicazioni. Preferisco quelle più raffinate che mi fanno intuire o percepire, da una certa distanza, la complessità del mondo”. Sono ancora le parole dell’artista a delinearne la vocazione più profonda: partecipare alla realtà, ma fare dell’evocazione il luogo eletto della sua arte. Il suo astrattismo, comunque, non sarà mai puro o decorativo: sarà una forma di pensiero visivo. Un universo dove il reale e l’astratto coesistono, si sovrappongono e si riflettono l’uno nell’altro. Con un linguaggio pittorico sempre fortemente segnato da una concezione architettonica dello spazio: una rigorosa costruzione dell’immagine, dove linee e griglie creano una profondità illusoria che richiama tanto le mappe urbane quanto gli interni labirintici.

Altro pregio di questa mostra – visibile fino al 15 settembre – è la riscoperta del profondo e intenso legame che legava Vieira da Silva al marito, il pittore ungherese Árpád Szenes. Una relazione non soltanto sentimentale, ma anche artistica, intellettuale e spirituale. Si conobbero a Parigi negli anni ’30, un periodo cruciale per entrambi, immersi in un ambiente culturale vibrante. Durante l’esilio a causa della Seconda guerra mondiale, la coppia si rifugiò in Brasile, dove continuò a dipingere, esponendo insieme e influenzandosi a vicenda. Sebbene i loro stili fossero diversi – con i suoi paesaggi mentali astratti e strutturati, Szenes più lirico e figurativo – esisteva tra loro un dialogo costante, fatto di confronto e supporto reciproco.
