
A Venezia, dove ogni pietra sembra sussurrare storie di mercanti, dogi e amanti segreti, un palazzo molto bello se ne sta bello placido lungo il Canal Grande: Palazzo Vendramin Grimani. Di palazzi, a Venezia, ne trovi a ogni angolo, ognuno con la sua facciata scolpita dal tempo e dall’acqua salmastra. Ma questo, a partire da questo mese, promette qualcosa di diverso, un’immersione non solo nella bellezza statica delle sue sale, ma nella vibrante eco delle vite che l’hanno animato per trecento anni.
Dopo quattro anni di ricerca certosina, spolverando archivi impolverati e inseguendo l’ombra di antiche collezioni disperse, la Fondazione dell’Albero d’Oro ha compiuto un’opera quasi da Doctor Who, riportando alla luce non solo dipinti – quattro pastelli di una certa Rosalba Carriera, veneziana di fine Seicento con una mano fatata per i ritratti, e un’opera di quella cosmopolita Angelica Kauffmann – ma anche frammenti di esistenze concrete: documenti ingialliti, libri con le costole scucite, la muta eloquenza di mobili antichi, argenti ossidati, la fragilità di ceramiche e vetri, la trama consunta di tessuti, persino abiti che ancora conservano la forma di chi li indossò, e fotografie sbiadite che catturano sorrisi e sguardi di un’epoca lontana e tantissime altre cose che non si potrebbero mai segnare in un unico articolo.
Non si tratterà, di una sterile esposizione di oggetti inanimati; l’intenzione è più ambiziosa, quasi un tentativo di resuscitare gli ambienti, di farci varcare la soglia del tempo e ritrovarci, per un istante, ospiti in queste stanze, partecipi delle gioie e dei dolori, delle conversazioni sussurrate e delle risate fragorose che un tempo riempivano l’aria. E vi assicuro che mentre girate per le stanze del Palazzo quella sensazione c’è.

Massimo Favilla e Ruggero Rugolo hanno curato questa impresa con la passione di chi sa che la vera arte non risiede solo nel pennello o nello scalpello, ma nel modo in cui le opere si intrecciano con le vite umane, con gli spazi che le contengono. Daniela Ferretti, con il suo allestimento, ha il compito delicato di dare forma a questa narrazione tridimensionale, di far dialogare gli oggetti con lo spirito del luogo, compito che ha svolto meravigliosamente.
Palazzo Vendramin Grimani, oggi è la sede di una fondazione che porta nel nome la promessa di crescita e bellezza, si svela così non solo come un monumento al passato, ma come un palcoscenico dove le storie di chi l’ha abitato tornano a farsi vive. Dal 12 aprile al 23 novembre del 2025, avrete la possibilità di attraversare questi tre secoli sospesi sull’acqua, di spiare dalle finestre l’incessante fluire della vita veneziana, consapevoli che ogni oggetto, ogni documento, ogni abito racchiude un frammento di un’esistenza, un sussurro di un tempo che non c’è più, ma che grazie a questa meticolosa riscoperta, torna per un momento a respirare.
È un prezioso invito, in fondo, a rallentare, a posare lo sguardo con curiosità e rispetto su ciò che è stato, per comprendere meglio chi siamo e da dove veniamo. In una città come Venezia, dove la bellezza è ovunque, questa mostra promette di offrire qualcosa di più profondo: un’immersione nel tempo, un incontro intimo con le storie che hanno reso questo palazzo, e la città stessa, un luogo unico al mondo.















