
Intervista con Michael Arcos, il creator dell’esperienza presentata all’edizione 2025 di Cannes Immersive
Tra le esperienze virtuali più visitate e chiacchierate del Festival di Cannes, tAxI — progetto firmato da Yamil Rodriguez, Michael Arcos e Stephen Henderson — è la più divertente della sezione Immersive. L’installazione, visivamente suggestiva, ricorda certe attrazioni dei parchi a tema: si entra in un’auto per affrontare un road trip immersivo, ma in realtà la vettura resta ferma. È lo schermo a 360 gradi che circonda l’abitacolo a creare l’illusione del movimento, come accadeva nelle vecchie riprese hollywoodiane. Il risultato, però, ricorda molto l’atmosfera dei film cult anni ’80 sui fantasmi, tipo S.O.S. Fantasmi.
Il tassista non è presente fisicamente, ma si manifesta tramite una voce generata da intelligenza artificiale, che interagisce in tempo reale con il passeggero. Alterna sproloqui, storie personali improbabili e battute surreali, tipo quelle nelle scene degli inseguimenti della sagai Indiana Jones. L’utente può scegliere in quale lingua farsi parlare e persino indicare una destinazione: reale o immaginaria, terrestre o galattica. L’AI risponde in modo diverso ogni volta, rendendo ogni corsa unica.
Leggete l’intervista a Michael Arcos per scoprire com’è andato il mio viaggio.
Com’è nato tAxI e come vi siete divisi i compiti tra voi tre creator?
Sono Michael Arcos, uno dei tre registi di tAxI. Il progetto nasce dalla collaborazione con Miller Group, azienda all’avanguardia nel campo della tecnologia, con cui avevamo già lavorato. Io vengo dal cinema, Yamil dal teatro e Steven da un background tecnico più variegato. Volevamo fondere questi mondi — racconto, performance, tecnologia — ed è così che è nata l’idea: un taxi fisico in cui entri e interagisci con una tassista digitale, un personaggio AI che abbiamo creato completamente da zero.

Qual era il vostro obiettivo? State testando qualcosa di più grande?
Sì, decisamente. Una delle prime idee era inserire questa personalità all’interno di un veicolo autonomo reale. Ma non abbiamo subito trovato i partner giusti, quindi abbiamo deciso di partire da un prototipo più performativo. Il sogno, comunque, resta quello: integrare tAxI in un’auto a guida autonoma.
Tipo una Tesla?
Qualcosa del genere, sì.
Non è un po’ rischioso? Magari ti butta fuori mentre stai ancora parlando…
(Ride) In effetti sì, potrebbe succedere. Anche perché il personaggio è volutamente “difficile”. Abbiamo giocato con lo stereotipo del tassista stanco, cinico, a volte provocatorio. Potrebbe piangere, punzecchiarti, metterti a disagio. Volevamo che fosse una persona vera, con le sue emozioni e sfumature.
A chi vi siete ispirati per creare la sua personalità?
La voce è ispirata a una mia amica di New Orleans, Barbara. È una donna nera di circa cinquant’anni, con una voce profonda, androgina, molto sensuale. L’ho sempre trovata unica e volevo darle uno spazio in un progetto. Spesso le voci AI sono neutre, standardizzate, “bianche”. Io volevo una voce marginalizzata, autentica, fuori dagli schemi.
Quindi è un’esperienza immersiva, ma non è proprio realtà virtuale. Come la definiresti?
Sì, la definirei immersiva, ma non in senso tecnico. L’esperienza avviene in un veicolo reale, che abbiamo portato da Londra a Cannes. Lo spettatore — o meglio, il passeggero — si siede sul sedile posteriore e dialoga con un’intelligenza artificiale. È una performance digitale interattiva, ma molto fisica.
Hai qualche aneddoto sulle prime reazioni del pubblico?
All’inizio, il tono del personaggio era molto più tagliente, persino offensivo. Alcuni partecipanti ne sono usciti un po’ scossi. Abbiamo quindi alleggerito un po’ i toni, senza però rinunciare all’irriverenza. Il nostro obiettivo è creare un ambiente in cui il passeggero si senta sì vulnerabile, ma anche stimolato a raccontarsi. Stiamo costruendo un archivio di storie, che poi vengono rielaborate.
Il tassista — si chiama Joe, giusto? — cambia comportamento a seconda dell’interazione?
Sì, Joe evolve giorno dopo giorno. Il design del personaggio è frutto delle nostre storie personali, dei nostri amici, delle nostre esperienze. Più persone entrano in tAxI, più Joe cresce, assorbe e si trasforma.

Quindi non aggiornate manualmente? Si adatta da solo?
Tutto il sistema è stato progettato internamente da Miller Group. Joe non è un modello AI preconfezionato. Non aggiorniamo manualmente i dati ogni giorno, ma monitoriamo costantemente l’esperienza e la raffiniamo. È un personaggio vivo, ma con dei limiti strutturati.
Com’è la vostra esperienza qui a Cannes Immersive?
Siamo davvero onorati di essere stati selezionati per la competizione. Lavoriamo nell’ambito immersivo da circa dieci anni, ma questa è la nostra prima volta a Cannes. Speriamo che tAxI possa viaggiare ancora, in altri festival e in altri contesti. Vogliamo continuare a sperimentare.
Pensate che l’intelligenza artificiale renderà l’essere umano un effetto collaterale?
Bella domanda. Io vengo dal cinema e ho gusti piuttosto tradizionali. All’inizio ero molto scettico: perché dovrei usare uno strumento che potrebbe sostituirmi? Ma l’AI, come ogni tecnologia, è un mezzo. Può generare cose bellissime o terribili. Dipende da come la usi. Per me resta un modo nuovo per raccontare storie. E quindi, in fondo, è ancora cinema.
PS. A proposito del mio viaggio: dopo un iniziale tafferuglio, avevo chiesto a Joe di accompagnarmi a Kathmandu per acquistare una spezia capace di eliminare lo stress. Ma, a causa di un improvviso ingorgo, ho cambiato itinerario e puntato verso la costellazione di Orione. Il tassista mi ha guidata per un po’ nella nebbia cosmica, per poi sbattermi fuori dal taxi e spegnersi bruscamente… Un’esperienza ironica, personalizzata e inaspettatamente poetica, tAxI è un viaggio che non si dimentica, anche se non ci si sposta di un millimetro.













