
L’artista Bruno Ceccobelli, nella sua palestra spirituale, con i consueti esercizi mentali estetici-metafisici, ci invita a capovolgere la nostra visione tradizionale dell’arte e del suo mercato
Imagine there’s no heaven
Immaginate che non ci sia nessun paradiso
It’s easy if you try
È facile se ci provate
In questo primo quarto di Secolo del terzo Millennio nell’Imago Mundi non c’è nessun paradiso, ma c’è invece una grande rivoluzione-involuzione: il nuovo regime di realtà e di immaginazione, sia fotografica che filmica o pittorica, non nasce alla luce delle verità obiettive, ma da formule algoritmate a freddo e da strategie ideate da menti oscure. Perché la via più facile da seguire è sempre quella del male?
Quando il progresso è una fregatura non evidente… è sempre un regresso; gli uomini razionalisti, per le loro gravità materiali, si muovono nell’evoluzione antropica escludendo a priori una loro sublimazione spirituale, evidentemente piena di sacrifici, così preferiamo reagire spesso con il nostro cervello rettiliano*: facile, furbo e speculativo, perché veloce e banalmente istintivo-violento; noi raramente premiamo quella nostra volontà comprensiva del trascendentale.
Anche in questo mondo fisico quantistico assodato, il tempo degli assassini è sempre presente; niente è vero, tutto è permesso: i “templari” contro gli “assassini”, e tutti insieme vogliono uccidere il creatore che li ha immaginati limitati… per fortuna!

Molto spesso ho criticato il fumettistico Mister T, vero Tirannousauro Rex dei nostri giorni, ma in effetti, non è lui il più grave satanasso in circolazione, ma quelle egregore di cervelli malefici, miliardi di fedeli votanti per quel sistema-pensiero aristotelico-cartesiano del capitalismo: un pensiero moderno scientifico-pragmatico, razionalista-matematico, tipico della fisica classica forgiante quell’industria delle banalità nocive.
Imagine all the people
Immaginate tutta la gente
Sharing all the world
Condividere tutto il mondo
Nella primavera del 1983 volai a N.Y. City per la mostra alla Salvatore Ala Gallery, ospite, all’East Village, presso il pittore astratto americano Jerry Whitworth, mio coetaneo, conosciuto pochi anni prima a Roma, quale borsista all’Accademia Americana sul Gianicolo. Salvatore Ala** aveva una galleria anche a Milano, lì vidi le prime mostre importanti italiane di Anselm Kiefer e di Keith Haring, e lì conobbi mia moglie Caterina, una sua assistente.

Salvatore era d’origine siciliana, e questo lo si evinceva anche dal personaggio: statura bassa, faccia rotonda, stempiato e baffo a mustazzu che copriva il labbro superiore… Aveva un carattere tendenzialmente ilare e sarcastico, ma sopraggiungevano anche momenti oscuri, impuntature eccessive e ripicche tradizionali della sua terra isolana; partimmo in aero per N.Y. da Milano Linate e non fu un viaggio tranquillo…
Si viaggiava con Alitalia, i biglietti li comprò lui e c’erano ancora settori per fumatori e non: io e lui viaggiammo nel settore non fumatori; dopo il decollo, Salvatore, serafico, accese una sigaretta. Io scandalizzato gli contestai il fatto che non stavamo nel settore fumatori… Salvatore cercava di mimetizzare il suo fumo e mi guardava di sottecchi con occhi fissi e nerissimi mentre mi sussurrava: “Io mica voglio respirare il fumo degli altri!”.
Verso la fine del viaggio vengo a sapere che nella sua borsa a mano, nel bagagliaio sopra di noi, esportava un piccolo quadretto di Frank Stella da consegnare a Leo Castelli e per finire in bellezza (una delle passioni di Sasà era cucinare), nel suo borsello, stretto gelosamente tra le gambe, custodiva del parmigiano e un pezzo di prosciutto San Daniele, perché a New York sarebbero costati troppo… io ebbi le vertigini e mi vidi inguaiato.
Conoscendo le rigorose costums americane mi sentivo perso…; il mio viaggio allarmato terminò ancora peggio, ad un’ora dall’arrivo il comandante annunciava che non si poteva atterrare al John F. Kennedy airport perché innevato con pista ghiacciata; fummo dirottati in Canada a Montreal (tutti ospiti dell’Alitalia), temperatura a terra -16°, per poi ripartire il giorno dopo. Alla ripartenza da Montreal furono sequestrati al mio gallerista certamente “inconsapevole”… il formaggio e il prosciutto, con multa salata.
A New York passai dei giorni di elevazione vertiginosa: quell’altezza dei grattacieli ti fa sempre sembrare tutto realizzabile, tutto raggiungibile! Io parlavo un inglese da sopravvivenza, per la qual cosa il mio amico Jerry mi faceva da cicerone: la mattina alla 1st Avenue una buona colazione alla pasticceria Veniero’s con fantastici cornetti… scelta dei colori (finalmente i grandi pastelli ad olio) a Canal Street da Pearl Paint… per comprare cibo italiano (costoso) da Balducci, di notte sulla 14a strada… al Palladium, a fare i guardoni: osservavamo danze ed happenings scalmanati con lo spirito “vado al massimo” del Vasco locale. Per tutto il tempo di tre settimane e mezzo, l’accoglienza di Jerry fu galvanizzante perché mi procurò uno spazio per dipingere in uno dei suoi studi, e produssi vari assemblaggi e icone alla mia maniera.

Dopo le visite ai più gradi musei della città e alle gallerie di West Broadway, seguì un’interessante visita culturale all’auditorium della Società Teosofica di N.Y. fondata nel 1875 da Helena Blavatsky, Henry Steel Olcott e William Quan Judge. E così omaggiai anche, onorandoli, i princìpi teorici dell’Arte Astratta. L’Arte Astratta si basa su un pensiero neoplatonico legato alla teologia negativa e su quello post-moderno legato alla Teosofia.
Pensieri teosofici: la conoscenza del sé è la via della realizzazione, la consapevolezza è la chiave per la trasformazione, la meditazione è il mezzo per raggiungere l’unità, l’arte è la manifestazione della verità. L’opera d’arte come lode al Creato, “ciò che è bello è il Dio che dimora fra gli uomini”…; “l’uomo è creato secondo un’immagine eterna, l’archetipo della Bellezza” diceva Pseudo-Dionigi Areopagita.
All’East Village a quel tempo da tutte le radio risuonava il vecchio leitmotiv di Bob Marley, “No Woman No Cry”; in ogni block lo smog era un miscuglio tra il fumo degli spinelli e gli afrori delle spezie degli assurdi e provvisori food halls esalati dal cibo cino-mexicano. Nelle piccole e medie gallerie, oltre alle grafiche dell’Iperrealismo e della Pop Art, era quello il momento dei graffitisti; nelle gallerie più famose tanto Minimal, i Nuovi Selvaggi tedeschi, la Transavanguardia e Julian Schnabel.
Devo molto a Salvatore che a Manhattan era più simpatico e rilassato anche perché controllato da Carolina, sua futura moglie; mi portò a conoscere Leo Castelli… la mia mostra andò bene, visitatori d’eccezione quali Ileana Sonnabend e Julian Schnabel; per la prima volta vidi interessarsi al mio lavoro un’intera famiglia araba di sette persone venute dall’Oman; arrivarono sotto la galleria con un bel van tutto dorato, il più interessato era Omar, un rampollo di 17 anni che i genitori cercavano di tenere a freno… sospetto che avessero notato nelle mie opere simboli e titoli cristiani ed ebraici.

In quegli anni ero preso, grazie agli insegnamenti accademici del mio professore Toti Scialoja, da ammirazione per tutta l’arte americana; oltre ai neo-dadaisti come Robert Rauschenberg, Jasper Johns e Jim Dine, guardavo soprattutto l’artista (Espressionista Astratto) che io ritengo il più mistico e spirituale della scena newyorkese: Ad Reinhardt*** (1913 -1967), con i suoi rinomati dipinti Black Painting.

In quel mio soggiorno ricercai nella scena newyorkese mostre o opere di Ad, ma in giro non vidi niente che lo celebrasse. Per me il maestro Ad Reinhardt è stato il miglior pittore americano degli anni sessanta, a dispetto del travolgente successo della Pop Art. I suoi quadri enigmatici, difficili da esporre e da vendere, perché a primo acchito appaiono all’occhio opere assenti, non fatte, fatue provocazioni, in realtà sono stupefazioni della grande Metafisica del Novecento. La sua opera, per questo, non è come la si potrebbe credere un’Arte Minimal, né Art Opitcal.
Reinhardt, con i suoi Black Painting, costruì trappole visive e psicologiche, voleva fermare il tempo obbligandoci a sperimentare un vuoto temporale; in una sola parola voleva incantare, per i suoi quadri occorreva una visione lenta, l’immagine doveva sgorgare dall’anima e materializzarsi piano piano, da sola.


L’osservatore e l’osservato devono entrare in una sintonia coscienziale, così da spostare, a specchio, la nostra immagine più in là, e insieme il nostro destino. Sono solo certe immagini ad introdurci in un tunnel temporale che ci traghetta in un altro mondo superiore e sublime. Reinhardt, pittore ascetico novecentesco, come un novello cavaliere crociato “del nulla che è”, sviluppò una vera tecnica liturgica per ottenere le sue “lapis” (pietre filosofali): divideva la superficie delle tele in un tracciato di nove quadrati uguali ed è evidente che solo meditando si poteva notare una croce greca centrale.
Ma la vera alchimia consisteva nella composizione dei suoi colori: c’erano delle fasi religiose in ogni quadrato, tinture che lui eseguiva attraverso filtraggi di trementina e stagionature con varie miscele di colori che comprendevano il Nero di Marte, il Blu Marina e il Grigio di Payne.
Ad Reinhardt sabotava il senso comune della pittura come ornamento, con quel nero suddiviso in tanti non-neri lucidi e opachi, vuoti e tutti uguali, che sembrano rappresentare il funerale rituale della pittura mercantile. Infatti una delle sue frasi più conosciute è: “L’arte è arte, e tutto il resto è tutto il resto” per dire: o sei dentro o sei fuori dell’arte… l’arte richiede un suo sacerdozio**** e non un ricercato mercimonio.
Le sue opere volevano farci attendere, meditare, non pensare per schemi, né ai quadri né alle mostre, alle gallerie, ai musei o alle pubblicazioni; voleva solo dare una lezione di slow living, una vita misurata, ponderata, trasudata, con al centro il vuoto o il nulla come pensiero utile per un comportamento differente e umano, più vicino al divino.
You may say I’m a dreamer
Potresti dire che sono un sognatore.
But I’m not the only one
Ma non sono l’unico.
*Il cervello rettiliano: se qualche Homo Sapiens Sapiens volesse ancora usare il cervello rettiliano, faccio notare che sarebbe un cervello rimasto a 500 milioni di anni fa, con un leggero carattere Cambriano!
**Salvatore Ala (1939-2014) in pubblico era molto elegante e profumato, in privato aveva anche un’altra immagine di “pregio”: indossava spesso una t-shirt bianca con la scritta in rosso “one”, voleva essere sempre il numero uno, in effetti con le sue gallerie arrivò per primo a mostrare tante personalità artistiche contemporanee del novecento come Fontana, Leoncillo, Castellani e Burri, Accardi, tutto il gruppo dell’Arte Povera e gli artisti americani come Vito Acconci, Joel Shapiro, Robert Wilson, Frank Stella, Andy Warhol, Mark Rothko, tedeschi come Rebecca Horn, Gunther Forg e poi la generazione inglese degli anni novanta… (consultare l’Archivio Ala).
***Ad Reinhardt, nonostante facesse parte dal 1942 degli American Abstract Artists e facesse già mostre con gallerie storiche come Peggy Guggenheim e Betty Parson, pare che non vivesse solo dei suoi vari monocromi pittorici, ma grazie al fatto che fosse un docente, poi uno storico dell’arte, e ancora un illustratore di libri e vignettista (di questa sua attività ho scritto nell’articolo di ArtsLife “Le avanguardie Fasciste”).
****Sacerdozio universale potrebbe anche essere un esercizio estetico di devozione, ordinato e astratto, per consacrare sia atti che icone e predicare universalmente il valore salvifico redentore dell’arte. Ad Reinhardt, originario di una famiglia ebraica russa tedesca, non diede mai nessuna spiegazione religiosa circa il suo misterioso discepolato controcorrente, ma passò del tempo in Oriente, interessato all’arte e alla scrittura giapponese, fino a soggiornare in un monastero buddista Zen di Kyoto, dove apprese dal monaco Thomas Merton anche dell’esistenza della teologia negativa o del nulla di cui scrive San Giovanni della Croce. Per questo suo noviziato possiamo sicuramente dire che la sua visione della rappresentazione artistica come pittura muta, lo consacrò come il miglior pittore astratto-metafisico di fine millennio.














