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Il Sole allo Zenit #39: Art Basel e Paloma senza ghiaccio

Richard Tuttle, 1976, Installation view at Modernart Gallery booth
Antonio Ballester Moreno, Green Blue, 2025, acrylic on jute, 114×162 cm
La più importante fiera del mondo vista con lo sguardo di un gallerista: in questa “speciale” puntata de Il Sole allo Zenit, Nicola Mafessoni ci affida il suo “diario” da Art Basel

Ero un po’ preoccupato prima di visitare la messe di Art Basel in questa strana edizione in cui il mercato ha chiaramente rallentato a livello globale, ma si sa che se non si lavora bene alla fiera principale allora c’è poco da ridere quindi tanto vale controllare bene. Così ho prima chiesto a una persona fidata che mi ha preceduto di un giorno nel viaggio come fossero l’atmosfera e il livello. La risposta è stata la seguente: “chi ha il pass con la sua fotografia al collo, ha il muso lungo e un fare nervoso. Chi il pass ce l’ha in tasca, ha lo swag di chi potrebbe essere nel back stage di un concerto o negli spogliatoi di una partita di hockey: non capisce la differenza e poco cambia. Ma alla festa tutti, chi più stanco chi più pimpante e alticcio, ci tiene a dirti che ruolo ha, che viaggi ha intrapreso e quanti chilometri ha percorso. Nel mentre tutti si litigano in coda una fetta di pane o una Paloma senza ghiaccio. E, soprattutto, chiunque sta cercando di vendere qualcosa a qualcun’altro. Almeno io non ho pagato la cena”. Potrebbe quasi bastare, come recensione. Nonostante non sia opportuno dire che il business non procede come deve, i galleristi amici mi dicono di essersi salvati e qualcuno ha ripreso pure a fumare, perché a Basel non ci si dovrebbe salvare ma far cassa per l’avvenire.

Nel frattempo raccolgo impressioni e commenti dei colleghi. Ovviamente c’è chi mente, chi ha venduto solo opere piccole, chi benedice Ugo Rondinone e chi non vede l’ora di tornare. Un direttore di galleria italiano, spazientito, ammette persino di prendere ancora 1.500 euro al mese, nonostante i vent’anni di militanza con la stessa prestigiosa casacca. La maggior parte degli addetti ai lavori sta seduta e pigia la tastiera del laptop, mandando e-mail e offerte, perché in tanti sono in attesa della grande vendita che dà la svolta. Nel bel mezzo della visita origlio persino un gallerista, storico e illustre, sostenere che in questa fiera è difficile comprare poichè sono talmente tante le proposte valide che il collezionista va in confusione. Che ci siano troppe opere?

Richard Tuttle, 1976, Installation view at Modernart Gallery booth

Ma vediamo in prima persona cosa succede, scorrendo sul mio cellulare le immagini salvate. Ritrovo con piacere le sculture minimali di Richard Tuttle da Modern Art, in fil di ferro spesso, elegantemente disposte su una parete aggettante; una grande scultura di Mark Manders esposta dalla recente nuova rappresentante Xavier Hufkens e da Anton Kern un Manfred Pernice divertente e quasi in stile Memphis. Uno stand inaspettato e un po’ diverso dal resto è quello di Mother’s Tankstation, galleria di Dublino, fondata nel  2006, che nella presentazione della fiera dichiara di privilegiare lo sviluppo di pratiche emergenti complesse e disparate, presentate all’interno di un quadro critico/polemico, e già mi piace. Rivedo con piacere il video di John Smith The Girl with chewing gum, da Kate Macgarry, che più di un televisore meriterebbe uno spazio ad Artunlimited.

Roy Lichtenstein, Peanut Butter Cup, 1962, olio e matita su tela, 35,6×35,6 cm

Mi piace l’atmosfera da Frank Elbaz che presenta anche tre autoritratti di Julie Knifer, prima ancora che fondasse il gruppo Gorgona e si cimentasse con la “greca” nota. Mi annoto un lavoro di Hans-Peter Feldmann che è un nudo di schiena con le chiavi di violino e un’opera di Calzolari nera, con la candela accesa. E ancora: un pongo di Stefano Arienti da Christian Stein che riprende Manet con la Musica alle Tuileries e due dipinti recenti di Antonio Ballester Moreno da Urs Meile, galleria che sta tra Pechino e la Svizzera, e mi immagino quanto difficile possa essere la loro logistica.

Ellsworth Kelly, High Yelow Study, 1960, Olio su tela, 43×36 cm

Infine rimiro l’apoteosi del piano di sotto: un Cezanne allo spazio della Beyeler Foundation che è una Forest Scene di inizio ‘900 e che mi toglie il fiato per un minuto almeno, uno studio di Balthus per Le Salon da Luxembourg + Co. che mi invoglia a vedere l’esito. Un bellissimo Ellsworth Kelly con un ovale giallo del 1960 mi fa chiedere come si possano raggiungere certe vette alte con così poche tracce, una Peanut Butter Cup di Roy Lichtenstein mi diverte molto e mi fa venir voglia di uno spuntino dolce, mentre il Viaggio del Sole di Luciano Fabro da Paula Cooper mi porterebbe a chiederne il prezzo, ma alla fine alzo i tacchi e lascio perdere, che tanto non è periodo. Mi rendo conto che a me piacciono sempre le stesse tipologie di opere e per le altre non ho occhio, o forse ne ho ormai troppo. Poco importa la risposta, conviene per il mercato che sia la prima ipotesi quella buona e che mi ordini anch’io una freddissima Paloma.

Paul Cezanne, Forest Scene (Path from Mas Jolie to Château Noir), 1900-1902, Olio su tela

Nicola Mafessoni è gallerista (Loom Gallery, Milano), curatore (Settantaventidue, Milano) e amante di libri (ben scritti). Convinto che l’arte sia sempre concettuale, tira le fila del suo studiare. E scrive per ricordarle. IG: nicolamafessoni

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