
Previsto e imprevisto, rigore e gioco si allacciano in X Incantamento, mostra che 10 A.M. ART dedica – fino al 4 luglio 2025, a Milano – a quattro delle “sue artiste”: Marina Apollonio, Lucia Di Luciano, Helga Philipp ed Esther Stocker.
Come molti altri aspetti della vita, se si eliminano sovrastrutture economiche, storiche e culturali, anche l’arte ridotta alla sua essenza può essere intesa come un gioco. Forme, cromie, composizioni strutturate e ristrutturate, sperimentate e ribaltate, in soluzioni infinite che sollecitano l’occhio e la mente. Manovre minime capaci di smuovere la sensibilità verso percezioni di volta in volta diverse. Un divertimento combinatorio senza finalità precisa se non l’appagamento che attiva artista, e così l’osservatore, fino ad arrivare a curatori e galleristi, figure per cui trovare chiavi interpretative in senso estetico si fa fondamentale in sede espositiva. Richiami, discordanze, analogie e divergenze, che se dosate consapevolmente diventano ganci visivi ancora prima che tematici e allacciano la mostra in un nodo organico che la rende viva. Del resto, non è vivo ciò che si muove, ma è vivo ciò che cambia, muta, evolve.
Verità che ostentano come in un manifesto le opere di Marina Apollonio, Lucia Di Luciano, Helga Philipp ed Ester Stocker, le “quattro donne” di 10 A.M. ART, che la galleria riunisce in una mostra transgenerazionale e internazionale, che attiva sinergie tra le autrici, diverse per soluzioni ed esiti, ma avvicinate da una comune ricerca in quel vasto ambito investigativo sulle modalità operative dell’atto del vedere abitualmente chiamato arte programmata. E, ancor di più, dall’intenzione di mettere in evidenza “l’ambivalenza dell’opera, tra il rigore della sua predeterminazione operativa e il dischiudersi di una molteplice e difforme fenomenologia del divenire, dell’instabilità e della complessità, in cui l’occhio partecipe dell’osservatore si avventura e persino si incanta“, come suggerisce nel testo curatoriale Gianluca Ranzi. La logica conduce dunque all’indeterminazione, in un cortocircuito che genera stupore.

Da qui il titolo dell’esposizione, X Incantamento: “X” come evidenza progettuale, il rigore che costruisce ogni opera d’arte programmata. “Incantamento”, come scritto in uno dei più noti sonetti di Dante, “Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io fossimo presi per incantamento“, che l’opera in questione stimola nell’osservatore, chiamato a integrare con la propria personale percezione il dato estetico proposto. “Il desiderio di un’arte depersonalizzata, che, pur in modo variabile, sta alla base dei linguaggi delle quattro artiste, mette quindi in evidenza l’ambiguità dell’apparenza – scrive il curatore della mostra Gianluca Ranzi – e la iscrive, attraverso il metodo del dubbio sul reale, in una visione complessiva della natura, non soltanto psicologico-gestaltica, bensì estesa alla scienza ed al mondo delle cose. La teoria e poi la sua ricaduta nell’opera svelano via via dei punti di conoscenza che sono felici, ma sempre temporanee, approssimazioni, sono virtuose eccezioni all’ordine che svelano quanto il caos sia indissolubile dal cosmo“.
Con una postura che osserva dall’alto lo scacco all’ordine, visualizzabile nell’intima vibrazione di ogni lavoro esposto, la mostra muove così dagli anni Sessanta fino alle produzioni più recenti delle autrici: dalla progressione delle Dinamiche Circolari fino alle Gradazioni di Marina Apollonio (Trieste, 1940); il tema della variazione ritmica che si libera nel colore con Lucia Di Luciano (Siracusa, 1933); il rigore cinetico che diviene campitura aperta e dialogante in Helga Philipp (Vienna 1939-2002); e infine la griglia decostruita degli spazi tensivi e liberi di Esther Stocker (Schlanders, 1974). É soprattutto la prima, Apollonio, a evidenziare in maniera più netta l’idea di arte come gioco, con le sue Dinamiche Circolari mobili, attivabili, che al pari di una roulette ruotano su se stesse, giocando non con la sorte ma con la percezione, in un attimo avviluppata nel vortice ipnotico dei lavori. Per loro il rigore non implica rigidità, ma eccezione, evocando uno sfumato confine tra equilibrio e caos.

Pulsano le griglie bianche e nere di Lucia Di Luciano, come partiture musicali che, mentre le leggiamo, già dettano il suono che in potenza conservano. Suono che la realtà ci impone di intendere come sinestetico: la scrittura mostra una grafia di quadrati e rettangoli bianchi e neri, che fissati una posizione precisa si attivano secondo leggi inderogabili. Almeno fino a quando non si consegnano all’occhio dell’osservatore, che ne apprezza l’ondulazione come un dolce inganno. Negli ultimi lavori, posteriori al 2020, Di Luciano si abbandona a una resa meno criptica e strutturata. Come già esposto l’anno scorso, 10 A.M. ART prosegue l’esplorazione delle opere più leggere dell’artista, sussurri di giallo e azzurro che s’appoggiano lievi sul foglio, abbandonandosi finalmente a un gioco senza sovrastrutture, pienamente ludico.
Per trovare il raccordo forse più lineare che incontriamo in mostra, torniamo però alle griglie bianche e nere degli anni Sessanta, che ben riecheggiano nella produzione coeva di Helga Philipp, la quale gioca sulle ambiguità percettive tra piano e profondità, tra figura e sfondo. Usando griglie, plexiglas e superfici specchianti, le sue opere diventano esperienze visive complesse, in cui la struttura si anima di riflessi, trasparenze e ritmi visivi. Una spazialità più aperta e poetica, dove ogni elemento invita a una lettura sottile e percettivamente attiva. Ancora più presenti e coinvolgenti i lavori di Esther Stocker, la più giovane tra le quattro, che irrompono nello spazio di mostra pendendo dal soffitto, appoggiandosi al muro o adagiandosi al suolo, cercando un contatto con il visitatore, stimolato anche dall’ambiguità materica che manifestano. Alluminio e plastica si alternano e confondono, schiacciando all’assurdo il dibattito sulla percezione, con il rigore – evidente nelle rette nere s’intravedono nelle sculture – totalmente accartocciato, assorbito e compresso in forme senza leggi. Sbrogliandole, al loro interno troveremmo idealmente scritto un messaggio: ogni riferimento è destinato a saltare, ogni credenza ad essere continuamente ridefinita.















