
Nell’ultimo contributo della rubrica (disponibile qui) abbiamo parlato della decisione presa dal Tribunale marittimo e commerciale di Copenaghen, che ha riconosciuto la tutela autorale delle celebri “Buckle Ballerina” del brand Ganni. I giudici danesi, tuttavia, non sono stati gli unici che, recentemente, sono stati chiamati a decidere circa la qualificabilità come opere del design industriale di calzature che hanno segnato il corso della storia.
E, in questo caso, che hanno accompagnato molti viaggiatori nel corso delle loro vacanze (c’è chi lo ammette, e chi mente). Prima o poi, ci siamo tutti trovarti, nel fare la valigia, di fronte allo stesso dilemma di Margot Robbie in Barbie.
Ovviamente, parliamo dei sandali tedeschi più famosi del mondo, “die” Birkenstock. Calzature comode e dotate di un appeal che si potrebbe definire “divisivo”, sono state inventate nel 1896 da Konrad Birkenstock e, per alcune decadi, sono state simbolo (assieme all’immancabile calzino bianco) dello “stile-non stile” che, a torto o ragione, veniva imputato ai turisti tedeschi in viaggio, fino a guadagnare la denominazione di “Jesuslatschen” (sandali di Gesù). Poi, negli anni ’90, hanno ricevuto la consacrazione dello star system, e da lì non si sono più fermate.
È naturale, quindi, che dopo anni di dura gavetta e in un momento di indubbia popolarità, l’azienda tedesca abbia deciso di (tentare di) ottenere il riconoscimento di “opera d’arte” del suo prodotto di punta.
La vicenda giudiziaria, decisa il 20 febbraio 2025 dalla BGH (Corte di Giustizia Federale tedesca), è nata, come spesso accade, dall’esigenza di Birkenstock di tutelare i propri modelli, in particolare “Madrid” e “Arizona”, dalla proliferazione sul mercato di esemplari un po’ troppo simili agli originali. Nel farlo, Birkenstock ha sostenuto che la tutela da riconoscerle contro queste apparenti riproduzioni non autorizzate avrebbe dovuto essere quella riservata alle opere d’arte applicata (“work of applied art”), ai sensi dell’articolo 2 della legge tedesca sul diritto d’autore (UrhG).

Ed è proprio in quell’aggettivo “applicata” che sta il nocciolo della questione. La tutela come opere d’arte degli oggetti di design si scontra, come abbiamo già detto in altri contributi della rubrica, proprio con il fatto che la funzione principale di queste “opere” è quella di essere utilizzate da parte dei loro acquirenti – oltre che riproducibili in più esemplari su scala industriale (senza voler creare confusione, va precisato che il concetto di “riproducibilità” è diverso da quello di “edizione”).
Questa circostanza fa sì che questi oggetti debbano avere delle caratteristiche funzionali “obbligate” o, se preferite, che debbano rispettare dei requisiti tecnici, che a seconda dei casi possono elidere, se non eliminare, lo spazio a disposizione dell’autore per esprimere la sua personalità e, quindi, dotarle di un sufficiente grado di originalità. Sebbene la BGH abbia specificato che non è formalmente prevista una distinzione tra il livello di creatività richiesto per la tutela delle opere di arte applicata e delle opere artistiche, nel primo caso la libertà di scelta dell’autore è inevitabilmente più limitata. Cosa che, di conseguenza, rende fisiologicamente più difficile per l’autore dell’oggetto di design accedere alla tutela autorale.
Nel caso dei sandali Birkenstock, la BGH ha ritenuto che questo “margine” non fosse stato sfruttato dal suo ideatore in maniera “artistica”, con conseguente rigetto delle domande della società teutonica.
Nella sua decisione, la BGH si è rifatta anche alla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea, secondo cui per concedere la tutela autorale è necessario un grado di creatività (o artisticità) che consenta di individuare una qualche forma di individualità. L’abilità artigianale e il fascino estetico (dimostrato dal fatto che le calzature in questione erano state esposte in mostre e avevano vinto premi per il loro design) non sono stati in grado di conferire ai sandali Birkenstock quell’apprezzamento “del mondo dell’arte” tale da consentire loro di andare oltre la proteggibilità come “semplici” disegni e modelli.
Si tratta di una “battuta d’arresto” in campo giudiziario che, tuttavia, non rischia di avere impatto sulla popolarità che le calzature continuano a riscontrare sul mercato. È proprio il caso di dirlo: Birkenstock, you are “kenough”.














