
A Calasetta dipinti, installazioni, fotografie e video gridano alla resistenza umana con Light and Fight: un viaggio tra clandestinità, volontà creativa e comunicativa, tra vulnerabilità e manifestazioni poetiche e politiche nelle opere di Zehra Dogan, cronaca di mille esperienze tra lotta e luce
Nel Museo d’Arte Contemporanea del bianco paese sulcitano di Calasetta le storie di infinite incessanti opposizioni scorrono con Zehra Dogan attraverso atto creativo, linguaggio e figure che non si arrendono nella mostra Light and Fight, a cura di Valentina Lixi, visibile alla Fondazione MACC fino al 30 settembre.
Appaiono una serie di volti sottili, sguardi intensi e implacabili – grandi occhi accompagnati dal simbolo di forma oculare al centro della Khamsa, la mano di Fatima, emblema di libertà usato come prezioso orecchino. Sono visi frontali, ieratici, superbi, invitti, ammantati di linee e tracciati, quelle del Deq: segni tatuati come elementi d’ornamento, di protezione spirituale e di appartenenza etnica e tribale, gli indelebili Xal disegnati sulla pelle. E la superficie del corpo – così esposta nel profilo del cranio rasato – è dipinta sulla tela, un lenzuolo da materasso, che porta i segni pittorici di nero caffè e succo di melograno, di curcuma e di cenere, insieme a vernice di contrabbando ed inchiostro indaco.
Vanno in scena voli onirici – doppi e multipli – su carta color giallo mimosa, e ancora balli sospesi e trasognanti, adornati d’arabeschi arancioni d’ambra e macchiati di tinte di nero e d’azzurro, di bianco, di fiordaliso, di notte e di grigio avio. Sono danze aeree e immersioni cosmiche di figure simili e segnate dalla stessa realtà: dame prigioniere – offese, abusate, oppresse ma inflessibili, caparbie, indocili, ferme – mai dome. Sono immagini di donne unite da uno stesso destino di lotta e luce – come dee del cielo e della terra, martiri, maghe, combattenti, indovine, principesse, orfane, veggenti, incantatrici, fanciulle coraggiose delle fiabe e delle leggende – che gridano ancora più forte contro la violenza – di arresti, detenzioni, torture, stupri, condanne a morte – che subiscono i popoli ostaggio dei giochi dei potenti.
È la storia della resistenza curda e della perseverante opposizione femminile alla repressione perpetrata contro di loro. Una resistenza che scorre nelle vene e nelle opere di Zehra Dogan. Come racconta la curatrice Valentina Lixi l’artista, giornalista e attivista è stata «condannata per aver condiviso sui social disegni che documentavano la devastazione di Nusaybin durante il coprifuoco e le operazioni militari nel distretto di Mardin». Ma nonostante ciò è stata poi capace di tramutare il carcere in esperienza vitale e comunicativa, di «trasformare la privazione in potenza creativa e la censura in strumento di testimonianza. La reclusione e la clandestinità non hanno mai spento la sua voce: al contrario, sono diventate il luogo e il tempo in cui l’urgenza espressiva si è fatta ancora più necessaria, più radicale».

Di questo passaggio sono fortissime immagini due dipinti: da una parte un telo mostra tre figure sedute, rinchiuse obtorto collo in una cella, costrette nel piccolo spazio segnato dalle sbarre alla strettissima prossimità, uguali nella prigionia ma ancora ferme – determinate, ostinate, unite – e accompagnate da un leggerissimo volatile, anima di libertà; dall’altra il dipinto del cortile dell’ora d’aria – tra le finestre e il filo spinato – dove dalle alte mura una rossa fenice di fuoco osserva una donna adagiata, nuda e rossa, di vita, di sangue di ciclo, cui rimanda la forma simbolica e accennata di vagina, d’utero e d’ovaie. Le creazioni dal carcere sono «nate dall’uso sovversivo e poetico di materiali improvvisati e di fortuna: lenzuola, asciugamani, federe, carta di giornale, caffè, tè, buccia di melograno, cenere di sigaretta, sangue mestruale, capelli, piume. Ogni frammento, ogni traccia […] veniva trasformato in linguaggio: un linguaggio capace di sfidare il silenzio imposto» e così risorgere. All’artista esule ora il compito di raccontare l’esistenza e la resistenza del popolo curdo e la speranza di indipendenza e rinascita, dai miti millenari alla battaglia per far rifiorire la loro cultura, tra turbinii d’edera e boccioli, tra donne che vivono libere.

L’esposizione è parte di Azione e Astrazione, progetto ideato da Efisio Carbone, direttore onorario del Museo, «che parte dalla collezione permanente di arte astratto concreta per indagare, nell’apparente ossimoro tra l’arte aniconica puramente speculativa e l’arte come azione politica e militante, la produzione contemporanea». Come sottolinea Maria Carla Armeni, Presidente della Fondazione MACC, è all’interno della visione dell’istituzione come «un presidio del contemporaneo che dà voce a chi si occupa di territori attraversati da conflitti».
Nata dalla sinergia del MACC con la Prometeo Gallery di Milano la mostra Light and Fight al Museo d’Arte Contemporanea di Calasetta grida le storie di Zehra Dogan e delle sue compagne del Kurdistan, una storia di lotta e luce che – nella cattività e nel sangue – ha trovato voce e segno artistico senza mai arrendersi.














