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Jyot (ज्योति). Luce interiore. La personale di Roberto Rup Paolini in Gujarat

Installation view di "Jot" di Roberto Rup Paolini
Installation view di “Jot” di Roberto Rup Paolini

Un progetto tra India e Italia

La collaborazione tra 079 | Stories Gallery di Ahmedabad e Casa degli Artisti di Milano inaugura un nuovo capitolo negli scambi culturali tra India e Italia, costruendo un ponte simbolico tra due contesti urbani e due tradizioni artistiche. Sostenuto dal Consolato Generale d’Italia a Mumbai e dal Consolato Generale dell’India a Milano, il progetto è curato da Caterina Corni e Giulia Restifo, in partnership con That’s Contemporary – realtà attiva nella creazione di reti culturali locali e internazionali, tra cui la stessa Casa degli Artisti, di cui è co-gestore – e con TAF The Arts Family London, organizzazione no profit che sostiene gli artisti del Sud-Est asiatico.

Con un doppio programma di residenze e mostre, l’iniziativa si propone come piattaforma di confronto interculturale, dove la pratica artistica diventa strumento di pensiero e occasione di dialogo tra artisti, istituzioni e territori. Non si limita a connettere due geografie, ma indaga le possibilità dell’arte come linguaggio di trasformazione, simbolica e conoscitiva.

Il fuoco come archetipo universale. Dal Jyot vedico al mito di Prometeo

Il progetto è partito il 23 agosto ad Ahmedabad con Jyot (ज्योति), di Roberto Rup Paolini, prima mostra di un artista italiano in Gujarat. Il termine sanscrito jyot – tradotto come “luce divina” o “luce interiore” – diventa il punto di partenza per una riflessione ampia sulla forza archetipica e trasformatrice del fuoco.  Da sempre simbolo ambivalente, capace di distruggere e rigenerare, consumare e illuminare, il fuoco unisce l’intera umanità.

Nel contesto vedico, la luce (jyotir) è spesso associata alla dimensione del sacro che si rivela attraverso il rito, in particolare nel fuoco sacrificale (agni), mediando tra umano e divino. Nei testi delle Upaniṣadjyot è rivelazione dell’ātman, l’anima individuale, la cui natura profonda è identica al brahman, il principio universale. Nel sikhismo, jyot rappresenta la luce divina che trascende i singoli individui. Si parla infatti di una continuità del jyot da un Guru all’altro, testimoniando l’unità dell’esperienza spirituale che va oltre le contingenze storiche e personali. Lungi dal riferirsi esclusivamente a una fonte fisica di luce, jyot è quindi simbolo di conoscenza, verità ultima e unione con l’assoluto. Una fiamma interiore che resiste all’oscuramento del sacro nel mondo moderno.

Se in India jyot è luce divina e principio trascendente, in Occidente il mito di Prometeo racconta il fuoco come dono rubato agli dèi e consegnato agli uomini, insieme strumento di emancipazione e di separazione dal sacro. Con Prometeo, l’umanità conquista la tecnica e l’autonomia, ma al prezzo di una frattura originaria: l’allontanamento dalla natura e la perdita progressiva del sacro come esperienza diretta.

RUP durante la residenza in India

Ferita, rivelazione, rinnovamento

Paolini intercetta la tensione archetipica del fuoco e ne fa emergere la duplice natura, di ferita e rivelazione, attraverso un percorso di ricerca artistica e personale intrapreso a partire dall’inizio del 2022, in un momento segnato da una crisi collettiva e interiore.

Una ricerca intensa che trova oggi compimento in un corpus di opere ampio e stratificato, del quale la mostra presenta una selezione significativa.

Le sue fiamme riportano l’osservatore alla necessità di ritrovare un contatto con quella dimensione simbolica e primordiale, senza la quale la vita rischia di ridursi a mera superficie, a esperienza consumata senza profondità.

Come afferma l’artista “In un percorso psicologico di crescita interiore bruciare ciò che non serve più significa rendere la propria personalità più pura, avvicinandola alla sua natura più autentica, affinché possa emergere il sole interiore. Il fuoco diventa così non solo un cammino rigenerativo, ma anche un’energia pura e antica, calore e luce.” Il fuoco come forza distruttiva ma purificatrice che riduce in cenere il passato, ma anche come energia vitale e creativa, di elevazione e rinnovamento, legata al mito della Fenice e alla vita stessa”.

Il fuoco, nelle sue parole, si rivela come forza distruttiva ma purificatrice, che riduce in cenere ciò che appartiene al passato – il vecchio sé, le illusioni, le forme logore di maturità –  ed è al contempo energia vitale e creativa, che richiama la simbologia della Fenice e alla possibilità di rinascita. “Bruciare” significa liberarsi del superfluo per rendere la personalità più autentica, più vicina al proprio nucleo interiore, affinché possa emergere quel “sole interiore” che illumina dall’interno.

Installation view di “Jot” di Roberto Rup Paolini

Jyot: la luce che resiste

Da questa tensione prende forma la mostra in India. Il titolo Jyot (ज्योति) non è soltanto un richiamo terminologico alla metafisica indiana, ma un tentativo di opporre resistenza alla frammentazione moderna e all’allontanamento dal sacro. Jyot diventa metafora di continuità cosmica, di una luce che resiste all’oscuramento spirituale, strumento per ripensare in chiave interculturale il legame tra conoscenza e trascendenza.

Le opere esposte, presentate in anteprima assoluta – 66 pastelli, 11 acrilici, una grande installazione e un’animazione in stop-motion di 380 disegni – rappresentano il fuoco nelle sue molteplici manifestazioni. Forme, linee e colori che si ripetono quasi ossessivamente, mai uguali a sé stessi, come a evocare un ritmo primordiale. Una forza antica che restituisce all’arte la sua funzione di linguaggio universale.

La pratica artistica di Paolini, multidisciplinare e libera nell’uso dei mezzi ma radicata nella pittura e nel video, si nutre di atmosfere crepuscolari, figure arcane, immaginari folklorici e simbolici che intrecciano culture diverse. Cresciuto all’interno del cinema di famiglia, sviluppa una sensibilità visiva che tende a deviare e deformare la rappresentazione del reale, per condurci in un viaggio nell’interiorità, tra figure arcane e paesaggi della psiche.

In questo contesto, il fuoco si rivela come un campo simbolico unificato e spazio emotivo che connette dimensioni spirituali, psicologiche e culturali. È materia e al tempo stesso invisibile, forza che unisce e che separa, che illumina e che consuma. Ed è proprio in questa dualità che si colloca l’invito dell’artista: riconnettersi con quella luce interiore che, silenziosa e resistente, continua ad ardere in ciascuno di noi.

Installation view di “Jot” di Roberto Rup Paolini

Da Ahmedabad a Milano: Vipul Prajapati

La collaborazione proseguirà a Milano dal 21 ottobre 2025, con la residenza di Vipul Prajapati a Casa degli Artisti. La sua ricerca, da anni si concentrata sui cantieri navali del Gujarat, situati nel Golfo del Khambat, in cui navi provenienti da tutto il mondo giungono per essere smantellate. La fascinazione di Prajapati per le navi e i cantieri navali lo ha portato a indagare nelle vite dei lavoratori che vi si intrecciano, cogliendo l’essenza della resilienza nelle avversità. La sua pratica si nutre di materiali come grafite, carboncino e oggetti trovati, attraverso i quali dà forma a opere dal forte valore evocativo.

Con il progetto Traces of Milan, Prajapati guarderà la città come archivio stratificato, tessuto di storie visibili e invisibili, offrendo un contro-sguardo che mette in dialogo resilienze collettive e cultura materiale.

“Durante la mia residenza artistica in Italia – afferma l’artista – il mio obiettivo è lasciare un’impronta significativa a Milano, simbolo del mio viaggio dall’India e ponte tra le due culture. Inserendo una prospettiva indiana nella cultura materiale milanese, intendo celebrare l’esperienza umana condivisa del minimalismo, mettendo al tempo stesso in luce le storie uniche custodite negli strati della città.”

Un processo aperto.

Il valore di questo primo esordio risiede nella sua natura processuale. Nel mettere in dialogo la luce interiore evocata da Jyot e la dimensione sociale indagata da Traces of Milan, il progetto afferma l’urgenza di ripensare il ruolo dell’arte come pratica trasformativa. Non mera rappresentazione, ma gesto simbolico e conoscitivo, capace di accendere visioni nuove e di costruire ponti tra culture, memorie e futuri possibili.

Insieme, le due esperienze inaugurali disegnano le coordinate di un progetto aperto, che si configura come spazio critico interculturale.

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