
Dal sacro alla cultura pop, dalle Bibbie miniate agli elmi cerimoniali: a Parma, Mercanteinfiera 2025 intreccia oggetti e memorie in quattro mostre parallele
Parma. Una Bibbia in miniatura, alta meno di cinque centimetri, stampata nel 1896 a Glasgow. Un copricapo sciamanico del Nepal, un bozzetto pubblicitario anni ‘50, una bicicletta da corsa trasformata in scultura. La prossima edizione di Mercanteinfiera Autunno (Fiere di Parma, 11–19 ottobre 2025) non si limita a mettere in mostra oggetti da collezione: li trasforma in storie da leggere.
Sono quattro le mostre collaterali che accompagneranno la grande fiera internazionale dedicata all’antiquariato, al modernariato e al design d’autore. E ognuna esplora un pezzo diverso dell’immaginario collettivo, tra spiritualità, antropologia e cultura visiva.
C’è la Bibbia come arte tipografica e dispositivo culturale, in “Il libro dei libri. Bibbie antiche tra splendore e devozione” (a cura di Luca Cena); c’è l’umanità raccontata attraverso copricapi rituali, religiosi e politici in “Da ogni capo del mondo” (a cura di Martina Barison); c’è il mondo di Antonio Colombo, imprenditore, collezionista e visionario, in “L’Archivio Vivo: arte, ciclismo e design”. E infine, un omaggio a una delle voci più amate dello sport italiano: “Bruno Pizzul. Una voce, un racconto”, realizzato in collaborazione con la famiglia.
Una Bibbia grande quanto un pollice
Il viaggio comincia dal libro più stampato, più letto e più interpretato della storia: la Bibbia. Ma qui non si parla solo di religione. Si parla di carta, inchiostro, impaginazione, xilografie, margini, glossari. La mostra ripercorre cinque secoli di storia editoriale e tipografica della Sacra Scrittura, da Venezia a Beirut.
Si parte con la Biblia Latina stampata nel 1489 da Ottaviano Scoto, primo esempio italiano di Bibbia illustrata. Una struttura visiva complessa, dove testo e commento si intrecciano in una pagina che sembra una mappa teologica. E si arriva fino alla Miniature Bible di Glasgow, 1896, con le sue 876 pagine racchiuse in 45 millimetri e leggibile solo con una lente: l’idea di un testo sacro tascabile, intimo, personale.
A emergere, più che la devozione, è la straordinaria plasticità culturale della Bibbia, che attraversa lingue, formati e tecnologie, adattandosi a ogni tempo senza perdere la sua centralità.
Antropologie della testa
Dal libro al cappello, la testa resta il punto focale. “Da ogni capo del mondo” è una mostra in apparenza leggera, ma in realtà densissima di significati. Oltre 250 copricapi raccolti dalla famiglia Barison in oltre trent’anni di viaggi e ricerche, provenienti da più di sessanta paesi.
Il cappello, qui, non è solo un accessorio: è manifesto visivo di un’identità. C’è l’elmo samurai e il cappello dei Kayapó, la papalina di Giovanni XXIII e il cappello in feltro Lenci. Ogni oggetto racconta gerarchie, rituali, credenze. E ogni materiale – cuoio, piume, argento, panno rosso – restituisce un paesaggio, una tecnica, un’economia del gesto.
Non si tratta di folklore esotico, ma di un museo portatile delle culture. Un modo per guardare la moda come forma di antropologia visiva, dove ogni dettaglio parla di chi siamo e da dove veniamo.
Antonio Colombo: il ciclismo diventa arte
C’è poi un percorso più personale, quasi autobiografico: quello di Antonio Colombo, erede della Columbus, storica azienda produttrice di tubi in acciaio per biciclette e arredamento. Ma Colombo è anche collezionista d’arte, gallerista, outsider. La mostra “L’Archivio Vivo” racconta questa traiettoria ibrida, in cui l’oggetto industriale diventa forma, e la passione si fa metodo.
Poltrone, biciclette, manifesti, installazioni: il design incontra l’arte contemporanea, mentre lo spirito imprenditoriale si scioglie in quello, più rarefatto e intuitivo, del collezionista. Un ritratto di italianità creativa, che incrocia design, sport e immaginario pop.
E poi c’è Pizzul
Infine, Bruno Pizzul. Una mostra gli rende omaggio a pochi mesi dalla scomparsa, raccogliendo memorabilia, documenti e testimonianze della sua carriera. Ma soprattutto restituendo la voce. Perché, prima di tutto, Pizzul è stato un suono nella memoria collettiva, una colonna sonora dello sport italiano.
Il collezionismo come forma di resistenza
“Il collezionista non colleziona oggetti, colleziona storie”, spiega Ilaria Dazzi, brand manager di Mercanteinfiera. “Dietro ogni pezzo c’è una relazione, un’identificazione, una nostalgia o una curiosità che supera il valore materiale.”
Con circa 1.000 espositori e 6.000 buyer attesi da tutto il mondo, Mercanteinfiera conferma la sua natura duplice: da un lato mercato, dall’altro osservatorio culturale. Un luogo dove il passato non è solo memoria, ma materia da rielaborare. Un archivio in movimento che interroga il presente, pezzo dopo pezzo.













