
Al Museo Man di Nuoro in mostra “I pani del desiderio” di Ilaria Turba, progetto artistico partecipato che, partendo da Marsiglia è arrivato fino in Sardegna, raccogliendo emozioni, tradizioni, desideri.
Abbiamo intervistato l’artista per approfondire gli aspetti del progetto, dalla sua genesi alla sua realizzazione.
Nell’evoluzione del suo lavoro artistico vi è stato il passaggio dall’arte visiva all’arte partecipativa. Come è avvenuto tale cambiamento?
Tramite una grande crisi, come spesso accade nei cambiamenti importanti. Non riuscivo più a trovare il senso di una pratica artistica che percepivo come fine a se stessa e sentivo il bisogno di instaurare un rapporto più diretto con il pubblico, così ho iniziato a lavorare in contesti sociali e nelle periferie collaborando con Amnesty International Educazione, a diretto contatto con le persone. Per sviluppare i progetti utilizzavamo metodologie partecipative e poi naturalmente questa esperienza si è integrata nel mio lavoro.
I pani del desiderio è il titolo del suo progetto. Un titolo evocativo, che lega fenomenologico ed essenza. Quale delle due componenti, secondo lei, è stata espressa maggiormente nella realizzazione dei pani-sculture realizzati?
Entrambe le componenti, credo, sono presenti in modo piuttosto equilibrato. La parte esperienziale della panificazione rituale è la porta d’accesso per poi entrare in contatto più profondo con il tema del desiderio condiviso. Anche nella restituzione del lavoro in contesti espositivi la traccia delle esperienze e i pani si intrecciano con qualcosa di invisibile legato al senso e al tema di questo progetto che trascende la materialità.

Il pane da sempre è fonte di sostentamento ed essenziale della nutrizione. Ha considerato anche questo aspetto nella scelta di questo elemento?
Attorno al pane e ai forni comuni si è formata la nostra civiltà e la cultura mediterranea. Nella mia ricerca sono partita dai pani rituali, diffusi in tantissime culture del Mediterraneo: pani che non erano soltanto un nutrimento, ma soprattutto simboli che accompagnavano l’uomo durante feste o passaggi importanti legati alla natura o alla comunità.
Il pane caratterizza la cultura e la tradizione della Sardegna. Ha per questo scelto di concludere il progetto in tale Regione?
Il primo pane rituale che ho visto nella mia vita è stato in Sardegna. Ho scelto questa terra meravigliosa per concludere il viaggio dei pani del desiderio e per sperimentare un incontro: tra la mia pratica artistica e un territorio in cui, da millenni, il pane è tradizione, vita e cultura. Sono arrivata a Villaurbana con la collezione degli oltre cento pani del desiderio raccolti e conservati negli anni, con l’archivio dei desideri e con la storia “nomade” del progetto, nato a Marsiglia e sviluppatosi in altri luoghi d’Italia. Non sapevo come la mia proposta sarebbe stata accolta, sinceramente mi aspettavo anche un rifiuto.
La tappa sarda era particolarmente delicata perché volevo chiedere a una piccola comunità di accompagnarmi nella trasformazione dei pani con il fuoco. Ciò che poi è accaduto ha superato ogni aspettativa: un incontro unico e speciale con un gruppo di persone che ha compreso fino in fondo il senso e la verità di questo gesto, partecipando con sensibilità e profondità a un momento irripetibile.

Come ha percepito la partecipazione delle diverse comunità coinvolte da Marsiglia all’Italia a questo progetto?
È stato molto sorprendente constatare che, nonostante i luoghi e le comunità fossero diversissime tra loro, la dinamica e l’attenzione che si creavano attorno al progetto era praticamente sempre la stessa. Durante gli atelier, inizialmente, le persone si sedevano attorno al lungo tavolo di lavoro senza sapere bene cosa sarebbe accaduto, e ripartivano alla fine non solo con un pane e un desiderio ma anche con uno sguardo diverso. Questo grazie alla profonda condivisione che si attivava nel gruppo in quel contesto speciale. I momenti più toccanti erano due in particolare: quando tutti iniziavano silenziosamente a dare forma al pane, e alla infine il momento del racconto collettivo del desiderio scelto da ciascun partecipante.
Quale è secondo lei il messaggio principale trasmesso dai Pani del Desiderio?
Non so se sia giusto parlare di messaggio. Ho iniziato il progetto a Marsiglia con la consapevolezza di voler creare uno spazio collettivo protetto, in cui far emergere dei desideri condivisi e dar loro forma. Hanno partecipato persone di diverse nazionalità, età e classi sociali, che credo abbiano trovato qui un tempo lento di ascolto e di scambio. Si è generato uno spazio di esperienza prezioso, diverso dalla quotidianità, sempre più velocizzata, in cui siamo immersi in vite sempre più individuali e competitive. Vedendo per la prima volta riunite, negli spazi del Museo MAN, le tracce di questo lungo viaggio, mi sono emozionata e ho compreso quanto sia stato fragile e potente allo stesso tempo. Da questo progetto ho imparato alcune cose preziose: che non è facile esprimere un desiderio e che i desideri -come suggerisce l’etimologia della parola de-sidera- hanno la forza di orientarci “senza le stelle”, senza punti di riferimento, permettendoci di andare al di là delle condizioni del nostro quotidiano, verso nuovi orizzonti comuni.













