Print Friendly and PDF

Al Trianon Viviani va in scena la Festa di Piedigrotta di Nello Mascia

Festa di Piedigrotta, regia Nello Mascia, Prove generali al Teatro Trianon ph ®Pino Miraglia Festa di Piedigrotta, regia Nello Mascia, Prove generali al Teatro Trianon ph ®Pino Miraglia
Festa di Piedigrotta, regia Nello Mascia, Prove generali al Teatro Trianon ph ®Pino Miraglia
Festa di Piedigrotta, regia Nello Mascia, Prove generali al Teatro Trianon ph ®Pino Miraglia
Grande successo al teatro Trianon di Napoli per la riproposizione della Festa di Piedigrotta in chiave contemporanea

Dopo diciotto anni dalla prima al Maschio Angioino di Napoli, Nello Mascia ripropone la sua Festa di Piedigrotta in chiave contemporanea, ed è un capolavoro. Al teatro Trianon cinque serate per lo spettacolo in due atti, in cui Raffaele Viviani utilizza il pretesto dell’antica festa pagana per descrivere con il musical quello che resta di un’umanità dilaniata dalla guerra.

Mascia, per questo lavoro del 1919, mette in scena la degenerazione umana, rispettando la chiave Neo-oggettiva post-bellica del periodo, priva di trucco ed espressionismi, senza maschere, muovendo un apparente caos dinamico di figure all’estremo del realismo. Corpi che scapicollano, si intrecciano in pose erotiche, alimentando masse, senza mai rompere del tutto la simmetria scenica, sorrette in sottofondo dal ritmo incalzante di Ciccio Merolla e dalle potenti voci degli interpreti che si avvicendano, Ernesto Lama una spanna sopra gli altri, quel timbro popolare, a metà tra la music hall italiana anni 20 e il mercato del Borgo di Sant’Antonio Abate dietro porta Capuana.

 

Festa di Piedigrotta, regia Nello Mascia, Prove generali al Teatro Trianon ph ®Pino Miraglia
Festa di Piedigrotta, regia Nello Mascia, Prove generali al Teatro Trianon ph ®Pino Miraglia

L’umiltà del teatro è il un punto di forza, unisce le generazioni con disinvoltura, gli esperti navigati e i giovani talenti: Gino Monteleone, Ciro Capano, Federica Aiello e Stefano Sarcinelli e lo stesso Ernesto Lama lavorano senza filtri con Francesco Del Gaudio (1999) protagonista in Champagne della Turrini; Antonio Guerra (2009) e Christian Chiummariello (2011), che hanno già esperienze cinematografiche di un certo livello e da protagonisti, con Salvatores e Rubini.

Gli scugnizzi corrono, saltano anche due metri dal pavimento, recitano e cantano ammiccando al pubblico come se volessero attirarlo nella loro trappola dello svago irriverente. Poi in un tonfo fingono una caduta rovinosa sul proscenio, lanciandosi verso il pubblico durante la frenesia di una fuga e restano fermi costruendo un tableau vivant, bloccati in posa plastica come emergenti da un quadro del barocco napoletano. Bellissima immagine. Questi ragazzi sono dinamite pura.

Ernesto Lama, Solista del Carro delle Lavannare e del Carro dei Pescatori, ricorda e incontra la Memoria (Nello Mascia) e la interroga, gli chiede se ricorda La Rumba degli Scugnizzi, brano di Raffaele Viviani per L’Ultimo Scugnizzo. Era circa la metà degli anni 80 quando con gli Ipocriti e la regìa di Ugo Gregoretti portavano questo capolavoro in giro per il mondo. Giusto un accenno. Un affondo nei ricordi. In un baluginio verdastro, quasi bianco e nero, dall’alto Viviani suggerisce il testo, divertito. Incredibile la somiglianza di Del Gaudio con il commediografo napoletano.

 

Festa di Piedigrotta, regia Nello Mascia, Prove generali al Teatro Trianon ph ®Pino Miraglia
Festa di Piedigrotta, regia Nello Mascia, Prove generali al Teatro Trianon ph ®Pino Miraglia

Dall’inizio alla fine il racconto flebile della festa in background perché, ci ricorda Mascia, non è quello che interessa a Viviani, ma l’esistenza ferita delle persone, che cerca di uscire dal malessere post-bellico in maniera goffa, senza però riuscirci. Il caos, la povertà e la prevaricazione sociale sono all’ordine del giorno. Come oggi.

Il gioco tra la festa e la realtà nelle famiglie vestite con gli abiti migliori, quelli per le festività e sempre gli stessi; la povertà dei venditori ambulanti di spasso, fichi d’india da appizzare con il coltello, cantanti e bande di squadracce armate di bastoni che molestano chiunque, una guardia, un forestiero; distruggono il gioco effimero della festa, che di tanto in tanto appare come allegoria nel corpo elastico e atletico di Federica Avallone, abile ballerina; al venditore d’’o broro ‘e purpe (Gino Monteleone) va tutto male, una scarpa rubata dagli scugnizzi e immersa nella calda bevanda di mare, che diventa imbevibile e quindi non più vendibile, ma alla miseria si somma la disperazione e continua a vendere, a strillare invogliando la gente a bere il suo disgustoso prodotto.

Poi Merolla ha l’abilità di costruire atmosfere con le percussioni e la festa diventa una manifestazione contemporanea di disoccupati organizzati, mossi da una ritmica urban che li spinge frontalmente contro il pubblico. Voci dure ricordano che in fin dei conti la povertà non appartiene al passato ed è figlia dello sfruttamento dei territori e dei popoli.

 

Festa di Piedigrotta, regia Nello Mascia, Prove generali al Teatro Trianon ph ®Pino Miraglia
Festa di Piedigrotta, regia Nello Mascia, Prove generali al Teatro Trianon ph ®Pino Miraglia

Dopo l’intramezzo dai risvolti sociali, la festa prosegue con brani popolari riarrangiati da Eugenio Bennato e ben interpretati da Pietra Montecorvino, Dario Sansone (cantante dei Foja) e Serena Pisa (del duo social Ebbanesis), che descrivono un’amara verità, che sta dint’ ‘e catene ‘sta libertà. La Festa di Piedigrotta come culto mariano legato a Santa Maria di Odigitria ha discendenze mediorientali, come l’immagine finale, con l’apparizione vocale dell’Ave Maris Stella interpretata da Filomena Diodati. Una voce che rompe il teatro, tra spirituale e terreno. L’apparizione della Madonna col Bambino bizantina su un lenzuolo, la sovrapposizione di immagini di donne palestinesi, identiche all’icona mariana. Il ricordo religioso della sofferenza materna per il sacrificio dei figli dovrebbe arrestare ogni altro bisogno di sacrificio, eppure non è così.

Siamo strani noi umani nel nostro “restare umani”. Non ci riusciamo. Non servono le religioni. Poi esci da teatro e sembra di non esserne ancora usciti. Sei a Forcella, quattro passi dai Tribunali.

Commenta con Facebook