
Irrefrenabile, salterino e blu, stavolta Rezza ci offre il suo ultimo spettacolo addirittura al Piccolo. È l’ammiraglio solitario, di un vascello fantasma, che per una buona mezz’ora lotta e impreca con un esercito di voci – registrate ci fa notare – che lo tirano e lo lanciano, lo bloccano e lo protrudono senza sosta ai quattro lati del palco. Il centro di gravità permanente si è proprio svitato, è chiaro che non esiste più.
Ci asperge con la sua folle inesauribile logorrea ancora una volta e ci trascina attraverso il mare magnum di un’ironia travolgente che non risparmia nessuno e usa il mare e la traversata come metafora del presente perverso che ci tocca attraversare ogni giorno, nella politica, al lavoro, nelle relazioni familiari, in quelle coi media e anche soltanto nella nostra testa.
Poi compare lui, verde e coatto, il capitano, verde e compatto che, come un papagallino, a monosillabi e salti molto goffi traballa nel presente letteralmente dietro all’ammiraglio, i loro binocoli persi nella banalità del nulla che inquina la comunicazione giorno per giorno, chiedendoci come sopravvivere addirittura sulla luna dove atterrano con enormi caschi, tra sfondi di colore luminosi e domande sull’eventualità, la necessità probabilmente di un’ Intelligenza artificiosa, che ci permette di star zitti, che invoca di fronte al capitano coatto che risponde a monosillabi e ci auguriamo prenda presto il posto di quella artificiale.
Chiudo citando Flavia Mastrella che di questo spettacolo come sempre ha composto l’habitat e dice: viviamo una nuova preistoria; la mansione umana è mortificata, confusa e inadeguata.
Buona visione!














