
La fiera di Colonia apre il suo sguardo al mondo femminile, ma resta ancora debole rispetto agli scenari extra occidentali
Prima di Art Basel, Artissima, TEFAF Maastricht, Frieze London c’era lei, Art Cologne, la piú antica fiera d’arte contemporanea d’Europa. Nata nel 1967, da quella che era la Kunstmark Köln 67, Art Cologne si è da sempre focalizzata sul classico modernismo, l’arte del postguerra e quella contemporanea. Inizialmente, nel 1967, aveva lo scopo di risanare il mercato artistico tedesco che faticava a stabilirsi in una Germania ancora dolente per le ferite procurate dalla Seconda Guerra Mondiale e dal nazismo. In oltre cinquanta anni, la fiera è, poi, divenuta luogo privilegiato in cui collezionisti, galleristi e artisti da tutto il mondo si incontrano per esporre nuove tendenze, affermarsi sul mercato artistico e vendere le loro opere non solo a privati, ma anche ad istituzioni culturali, quali musei, pinacoteche, kunstverein.
Arte liberale
A dominare la fiera sono state sempre principalmente o le opere degli affermati artisti tedeschi – da Richter a Georg Baselitz, passando per Joseph Beuys -, o quelle delle star della neoavanguardia e della pop art americana. Le opere di Andy Warhol, Roy Lichtenstein, Robert Rauschenberg, Jasper Johns, Tom Wesselmann, tra gli altri, ne hanno segnato il mercato e il gusto collestinistico per decenni. Inevitabilmente seguendo anche il corso di quella che è stata la storia della documenta di Kassel. Nata proprio per cancellare il passato nazista e la censura operata da esso e far affermare sul mercato tedesco una più liberale arte, quale quella americana.

Quest’anno, forse per la prima volta, dopo diversi anni, si può avvertire in maniera decisa la scelta di molte delle gallerie presenti di aprirsi al mondo femminile, all’avanguardia femminista degli anni Settanta, anche in una prospettiva transculturale e transnazionale. Artiste come Hanne Darboven (Galerie Michael Werner); Heidi Bucher (Richard Saltoun), Annegret Soltau (Anita Beckers Galerie & Richard Saltoun), Niki de Saint Phalle (Samuelis Baumgarte), Yayoy Kusama (Von Vertes), Renate Bertlmann (Levy Galerie) hanno letteralmente catturato il pubblico di collezionisti giunti da tutto il mondo alla preapertura per la stampa.
Una storia raramente raccontata
L’impressione avuta è che per la prima volta il mercato, soprattutto quello tedesco, che difficilmente si è riuscito a concentrare su artiste dell’avanguardia femminista che non fossero Ulrike Rosenbach, si sia volto a riscoprire questa parte della storia artistica contemporanea che ancora raramente viene raccontata all’interno dei musei e delle istituzioni culturali in generale. E quando si è provato a farlo, spesse volte è accaduto in maniera superficiale e senza contestualizzare le tematiche o i media artistici con cui le femministe degli anni Settanta hanno lavorato.

Un lavoro di ricerca ben curato è stato quello svolto dal ZADIK Archiv di Colonia e dal Kunsthistorisches Institut di Colonia, insieme alla Zander Galerie, per la riscoperta di Charlotte Zander (1930-2014), collezionista, gallerista e fondatrice del museo in Schloss Bönnigheim. Questa edizione di Art Cologne è un vero e proprio successo al femminile, a cui hanno già hanno iniziato a guardare non solo le altre fiere d’arte europee e non, ma anche le mostre internazionali d’arte contemporanea, come la Biennale del 2022 di Cecilia Alemani.
Una scommessa
Purtroppo quello che manca, e per cui il mercato tedesco non è ancora pronto, è uno sguardo meno occidentale e più volto ai sistemi del Global South. Le gallerie e gli artisti rappresentati che raccontano narrative altre rispetto a quelle a cui siamo abituati da sempre, sono ancora troppo pochi. Non basta, infatti, una galleria di San Paolo del Brasile per raccontarci decenni di visione artistica prettamente coloniale, né tantomeno possono farlo due gallerie da Istanbul e una da Montevideo, in Uruguay.

Se il direttore Daniel Hug e il comitato organizzativo e scientifico vogliono traghettare Art Cologne fuori dai confini di una vecchia e stagnante Europa verso un mondo artistico più aperto, diacronico e culturale, c’è bisogno di intercettare, finanziare e invitare gallerie, artisti e esperti nel settore che narrino davvero un’altra storia dell’arte. La scommessa, infatti, sarebbe proprio quella di aprire le proprie porte a gallerie giovani che istruiscano e invoglino i collezionisti a comprare altro da quello che hanno sempre privilegiato.
Molto bene, anche se poche, le gallerie italiane presenti: una mostra molto interessante della galleria di Milano 10 A.M. Art che ha portato una personale di uno dei rappresentati più importanti dell’arte concreta italiana, Franco Giuli. Alla più accomodante arte figurativa ci ha pensato la collaborazione tra la galleria Rolando Anselmi di Roma, con le opere di Adéla Janskà, e la galleria A+B Art di Brescia, con l’artista Flora Temnouche.











