
Il celebre gallerista milanese lamenta i problemi burocratici che rallentano la creazione del suo progetto di fondazione a Belveglio
“Il vero problema italiano non sono le istituzioni. Sono i singoli funzionari inadeguati”. È un fiume in piena, Massimo De Carlo, il noto gallerista milanese che incontriamo alla fiera West Bund di Shanghai. Passiamo a salutarlo, e gli chiediamo le prime impressioni sul clima cinese, che lui ben conosce operando da tempo anche a Hong Kong. Poi il discorso si sposta sul progetto di fondazione da lui portato avanti in Piemonte: e lui non aspetta altro per togliersi qualche sassolino dalle scarpe.
Il riferimento è al progetto culturale a cui sta lavorando nel cuore del Monferrato piemontese: una fondazione privata dedicata all’arte contemporanea, con sede a Belveglio, in provincia di Asti. In accordo con le istituzioni locali, dalla Provincia al Comune di Belveglio, all’Ente Turismo Langhe Monferrato Roero. Un “hub” culturale permanente progettato da Valerio Olgiati, capace di attrarre artisti internazionali ma anche di instaurare un dialogo profondo con il territorio. Promuovendo residenze d’artista e spazi di riflessione e incontro, anche per artisti non necessariamente rappresentati dalla sua galleria.
Funzionari demotivati
“Ora è tutto bloccato, pare che manchino delle autorizzazioni, qualche astruso nulla osta”, confida De Carlo. Problemi con la Soprintendenza, o la Regione, ipotizziamo noi? “No, paradossalmente, il problema molto italiane è legato alle singole persone. Magari un funzionario svogliato, demotivato, miope. Basta la mancanza di una firma in un modulo, per mandare a monte mesi di lavoro di grandi professionisti”. Ma quali crede siano le ragioni dello stop? “Non ne ho idea, magari qualcuno pensa che io voglia fare villette o appartamenti, mascherandoli da fondazione culturale. Ma noi non ci daremo per vinti…”.
Crede che riuscirete ad essere pronti per il 2027, quando Alba sarà Capitale Italiana dell’Arte Contemporanea? Domandiamo. E qui la vis polemica si sposta sulle politiche culturali. “Perché, scusi? A cosa serve? Lei per caso ricorda di qualche evento accaduto a Bergamo quando era Capitale? Io no. Questi progetti restano effimeri, per incidere nel tessuto culturale ci vuole ben altro…”.












