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La “Pietà in viaggio”: cronache di una tavola inquieta

La Pietà di Giovanni Bellini restaurata da Venetian Heritage, Galleria Giorgio Franchetti alla Ca' d'Oro_installation view, ph Matteo De Fina
La Pietà di Giovanni Bellini restaurata da Venetian Heritage, Galleria Giorgio Franchetti alla Ca’ d’Oro, installation view, ph Matteo De Fina
Dopo settant’anni la “Pietà” di Giovanni Bellini torna a Venezia, alla Ca’ d’Oro, che avrà un nuovo allestimento e un restauro totale: ecco il nostro racconto

C’è qualcosa di curioso nel ritrovarsi un pomeriggio d’autunno davanti alla Ca’ d’Oro, con l’aria che sa già un po’ di nebbia e il Canal Grande che sembra un enorme termosifone spento, quando all’improvviso ti dicono che dentro, proprio lì, sta per arrivare un Bellini del Quattrocento che ha attraversato molteplici vite.

La Pietà, quella di Giovanni Bellini, non una qualsiasi, torna a Venezia dopo più di settant’anni. E già questo basterebbe per mettersi il giaccone buono e fare la fila. Ma la storia, ovviamente, non è così semplice. Le cose importanti non lo sono mai. La tavola nacque a Rimini, tra notabili, Malatesta, e gente che batteva il selciato come oggi si batte la tastiera per prenotare una stanza economica «ma con vista». Un certo Rainerio Migliorati uno che non doveva essere proprio l’ultimo arrivato la volle per sé e per la sua devozione privata. Il Bellini, maestro già allora ricercato come la pizza buona dopo l’allenamento, la dipinse senza probabilmente mettere piede a Rimini. Questione di committenze, di reputazioni, di quell’orgoglio veneziano che correva veloce come una barca a remi quando c’era la marea giusta.

Poi, come succede nelle famiglie e nei romanzi di formazione, il dipinto prese a migrare: cappella, Pinacoteca, Palazzo Ducale, persino Londra nel ’29, in una di quelle mostre che facevano venire il batticuore a chi amava l’arte italiana. E intanto il tempo, che con le tavole è spietato, fece danni. Tarli, parchettature assassine, restauri drastici… insomma: una vita movimentata, degna di un protagonista vero. Finché arriva Venetian Heritage, che da anni fa più per Venezia di quanto Venezia stessa ammetta, e decide di riportare il dipinto in forma. Non una passata di trucco un restauro vero (e che restauro!), chirurgico e paziente. Lucia Tito e la squadra della Ca’ d’Oro si mettono al lavoro, tirano via vernici gialle come vecchie lampadine e ridanno alla Pietà quel respiro che aveva perso sotto strati di interventi d’altri tempi.

E allora ecco il colpo di scena: prima che il museo chiuda per i lavori finali di restauro e riallestimento, si apre una mostra-dossier. Una specie di ultima festa in casa prima dei muratori, con un ospite d’onore che torna dalla lontananza. E non sarà sola. Ad aspettarla c’è il San Sebastiano di Mantegna, quello che pare un guerriero punk conficcato di frecce ma con la dignità della miglior antica scuola padana. I due, tra l’altro, erano quasi cognati. Cose da Rinascimento.

La Pietà di Giovanni Bellini restaurata da Venetian Heritage, Galleria Giorgio Franchetti alla Ca’ d’Oro_installation view, ph Matteo De Fina

Nel buio calibrato del salone al primo piano, la Pietà spicca come si spicca dopo un viaggio importante: luce puntuale, atmosfera sacrale, quell’emozione che ti si arrampica sulla schiena quando una storia lunga secoli arriva a posarsi davanti a te. Alla sua destra, la cappella del Mantegna appena restaurata restituisce senso al dialogo: due maestri, due modi di guardare la sofferenza e la bellezza, due lenti su un’epoca che ancora oggi ci detta il respiro.

E come nei migliori racconti di viaggio, la faccenda non finisce qui. Il Bellini prenderà l’aereo (sì, avete letto bene) e volerà a New York, alla Morgan Library, in una sala che sembra uscita da un romanzo ottocentesco di soldi, velluti e libri rari. Lì incontrerà Rossellino, Perugino, Cima, Memling. Altri pezzi da novanta che hanno attraversato il mondo per finire nel museo di uno dei più collezionisti più voraci della storia.

E poi, come un figlio che torna a casa dopo il giro del mondo, rimetterà piede a Rimini. Di nuovo tra i suoi, di nuovo accanto al Mantegna. Una chiusura del cerchio che sembra scritta da uno che di romanzi sulla strada se ne intendeva parecchio.

Intanto la Ca’ d’Oro cambia pelle: nuovo allestimento, restauro totale, un investimento enorme che profuma di futuro. Quando riaprirà, sarà di nuovo uno di quei posti dove la città sembra ricordarsi chi è. E mentre la Pietà viaggia, cambia, resiste, noi la seguiamo come si segue una vecchia amica: con il passo un po’ stupito, un po’ affezionato, di chi sa che certi ritorni non sono mai banali.

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