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Addio a Martin Parr, il fotografo che immortalò il grottesco a colori

Martin Parr
Martin Parr
Il mondo della fotografia perde una delle sue voci più iconiche e riconoscibili: Martin Parr, il fotografo inglese noto per i suoi scatti pop, saturi e caustici sulla vita quotidiana, è morto all’età di 73 anni nella sua casa di Bristol, in Inghilterra

Membro della leggendaria agenzia Magnum Photos – nella quale fu presentato nel 1988 dal maestro Henri Cartier-Bresson –, Martin Parr è stato un rivoluzionario della fotografia e, soprattutto, fu uno dei primi a ridefinire la street photography in una nuova versione: l’uso sistematico del colore, sia come scelta tecnica che come strumento narrativo ed estetico, ha permeato la sua traiettoria poetica.

La sua carriera decollò a metà degli anni Ottanta con The Last Resort (1983-85), un progetto divenuto un classico moderno che raccontava, con un’ironia tanto tagliente quanto affettuosa, la vita della classe operaia in vacanza nella località balneare di New Brighton. In quelle immagini – caotiche, gremite di dettagli kitsch, con soggetti spesso colti in pose goffe dalla luce cruda del flash – Parr definì il suo stile inconfondibile: uno sguardo antropologico sul grottesco del quotidiano, sull’assurdo e sul banale della vita moderna.

Martin Parr, New Brighton. From ‘The Last Resort’. 1983-85.

Nato in un contesto borghese, si avvicinò alla fotografia da giovanissimo, studiando alla scuola Politecnica di Manchester. Dopo aver insegnato, iniziò a pubblicare i suoi progetti, conquistando rapidamente un posto unico nel panorama internazionale. Le sue foto, che inizialmente furono talvolta criticate per la loro presunta «mancanza di eleganza», si rivelarono invece visionarie. Il suo uso del flash, i colori iper-saturi, la composizione affollata e il gusto per il dettaglio ironico e surreale sono oggi letti come un’anticipazione dell’estetica dell’era digitale e di Instagram, della sovrabbondanza visiva e della ricerca dell’istantanea perfetta, anche nella sua imperfezione.

Fotografo instancabile e prolifico, Parr ha raccontato per decenni i riti sociali della borghesia e del turismo di massa, le fiere di paese, le spiagge affollate, il cibo e il consumismo, sempre con uno sguardo che univa la curiosità dell’etnografo alla verve del satirico. Le sue opere, che continuano a essere tra le più esposte al mondo, restano una lente spietata e indispensabile per comprendere il tessuto sociale e il kitsch contemporaneo.

Le pagine incriminate di London, di Gian Butturini, introdotte da Martin Parr nel 2017

Il caso Parr-Butturini

Martin Parr, da tempo malato, era stato vittima anche di un recente episodio di “cancel culture”, esasperato dalla dittatura dei social all’epoca del covid. Al centro della vicenda c’era stato London, libro fotografico del 1969 di Gian Butturini (1935-2006), ristampato nel 2017 dall’editore bolognese Damiani con un’introduzione del celebre fotografo inglese. Due anni dopo, una studentessa di antropologia britannica di 18 anni, scopre l’accostamento – su doppia pagina, che Butturini fece all’epoca: in una facciata una bigliettaia di colore chiusa nella sua cabina di vetro nella metropolitana londinese, e l’altra un gorilla in gabbia allo zoo di Regent’s Park. Per la studentessa si trattava di “razzismo”, in un paragone intollerabile tra una donna nera e una scimmia.

Da questa denuncia partì una campagna diffamatoria contro Martin Parr, durata mesi, considerato colpevole – in quanto autore della prefazione e promotore della riedizione, di aver legittimato il contenuto. Una pressione che, nel luglio 2020, portò il fotografo a dimettersi dal ruolo di direttore artistico del Bristol Photo Festival e una sua mostra presso la Parr Foundation viene cancellata. Non solo: il fotografo era arrivato a chiedere alla casa editrice Damiani di ritirare dal mercato e distruggere le copie del libro, nonostante lo stesso Butturini nell’introduzione originale di quasi sessant’anni fa, descrivesse la bigliettaia come “una prigioniera indifferente, un’isola immobile” e il gorilla come il ricevente “con dignità imperiale…delle facezie… dai suoi nipoti in cravatta“.

Con la sua morte, la fotografia perde non solo un Maestro, ma un acuto e irriverente cronista del nostro tempo.

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