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Traces of Milan. Vipul Prajapati e la forma minima dell’incontro

Vipul Prajapati, Traces of Milan A Minimalist Exploration 2025, courtesy Casa degli Artisti Vipul Prajapati, Traces of Milan A Minimalist Exploration 2025, courtesy Casa degli Artisti
Vipul Prajapati, Traces of Milan A Minimalist Exploration 2025, courtesy Casa degli Artisti
Vipul Prajapati, Traces of Milan A Minimalist Exploration 2025, courtesy Casa degli Artisti
Materia, traccia e dialogo interculturale sono temperie che ricorrono nella residenza dell’indiano Vipul Prajapati alla Casa degli Artisti

Si è da poco conclusa la residenza milanese di Vipul Prajapati alla Casa degli Artisti, secondo capitolo della collaborazione internazionale tra l’istituzione milanese e 079|STORIES Gallery di Ahmedabad. La residenza si inserisce nel programma di scambio Italia-India ideato da Caterina Corni e Giulia Restifo, in partnership con That’s Contemporary e TAF The Arts Family London, e sostenuto dal Consolato Generale d’Italia a Mumbai e dal Consolato Generale dell’India a Milano. Un progetto che mira a costruire un dialogo paritario tra contesti artistici differenti, mettendo in relazione linguaggi, materiali e processi.

Nato ad Ahmedabad, Vipul Prajapati ha ricevuto numerosi riconoscimenti internazionali, tra cui il National Lalit Kala Akademi Award, il Pollock-Krasner Award e l’Arte Laguna Prize. La sua pratica si fonda sull’uso di materiali residuali – grafite, carbone, oggetti trovati, frammenti industriali – che l’artista sottrae all’oblio per trasformarli in narrazione visiva. Il gesto del raccogliere e del rigenerare assume in Prajapati una valenza estetica e politica: dare nuova forma alla materia equivale a dare continuità alla memoria.

Nelle cinque settimane di permanenza, con il progetto Traces of Milan: A Minimalist Exploration, Prajapati ha abitato Milano come un archivio vivo, attivando connessioni tra forme, superfici e memorie minime. Attraverso un’attenzione costante alla cultura materiale della città, l’artista ne indaga le dimensioni architettoniche, simboliche e sociali, lasciando che siano i dettagli, i residui e le tracce a orientare la ricerca. Questo sguardo si intreccia a una scelta minimalista, dichiarata già nel titolo del progetto, intesa non come riduzione formale ma come metodologia conoscitiva. Un processo di sottrazione che permette di concentrare il senso su pochi elementi, su ciò che resiste al consumo del tempo, creando le condizioni per far emergere una forma archetipica, la cupola, come nucleo da cui far partire il lavoro.

 

Vipul Prajapati, Traces of Milan A Minimalist Exploration 2025, courtesy Casa degli Artisti
Vipul Prajapati, Traces of Milan A Minimalist Exploration 2025, courtesy Casa degli Artisti
La cupola come archetipo condiviso

Presente sia nell’architettura italiana e sia in quella indiana (stupa), la cupola si configura come forma primaria e base simbolica condivisa, capace di mettere in relazione culture e tradizioni diverse. Architettura che racchiude e protegge, richiama al tempo stesso il costruire umano e la dimensione cosmica, diventando figura di mediazione tra terra e cielo, tra individuo e collettività. Due mondi, un unico mondo, che si riconoscono sotto una stessa volta, per simboleggiare l’idea di totalità e di armonia.

Nell’opera realizzata durante la residenza, Prajapati traduce queste riflessioni in una composizione essenziale e stratificata. Una grande cupola in grafite nera, omaggio al Rinascimento italiano, domina la superficie; al di sotto, figure umane trovano riparo e orientamento in questa architettura universale. Appena dietro, un vuoto cromatico consente di individuare la sagoma di Santa Maria delle Grazie. Sul fondo, il colore mattone introduce un elemento di continuità che rimanda alla tradizione costruttiva della città – facciate, pavimentazioni, superfici – incontrate nelle sue esplorazioni urbane, ma anche una nota calda, materica su cui poggia la vita quotidiana. Insieme all’uso della grafite, il colore amplifica le emozioni e diventa metafora di una storia costruita per stratificazione.

Per Vipul, la materia non è mai mero supporto, ma spazio di sedimentazione del tempo e dell’esperienza. Una concezione che rimanda a una visione profondamente radicata nel pensiero indiano, in cui il tempo procede in modo ciclico, come un continuo processo di trasformazione e ritorno. In questa prospettiva, il costruire non è mai disgiunto dal custodire; la materia non viene consumata, ma accompagnata nel suo divenire, rigenerata attraverso l’attenzione e l’ascolto. È su questo piano concreto che la cupola si innesta, ponendo il gesto artistico in dialogo con la complessità del reale.

 

Vipul Prajapati
Vipul Prajapati

All’orizzonte, infine, un piccolo aereo inserisce un tratto autobiografico e insieme universale: il viaggio dell’artista dall’India all’Italia, l’esperienza dell’essere altrove come situazione di vulnerabilità e l’idea di attraversamento come condizione necessaria dell’incontro.

Memorie minime e spazi intermedi

Presentato durante l’open studio a Casa degli Artisti, il lavoro ha rivelato come la pratica di Prajapati, lontana dall’essere meramente illustrativa, miri ad amplificare lo sguardo, conducendo chi osserva in una narrazione metaforica con cui l’artista tenta di trasmettere le sue esperienze e le sue prospettive.  In Traces of Milan: A Minimalist Exploration, queste considerazioni risuonano come un invito a riconoscere nella traccia non un residuo inerte, ma un dispositivo concettuale che custodisce temporalità, esperienze e possibilità di senso. Una memoria minima, un’aura, che sopravvive ai processi di consumo e accelerazione e che ci parla della relazione tra individuo e contesto urbano, proponendosi al tempo stesso come luogo intermedio, un “terzo spazio”, citando Homi K. Bhabha, teorico del postcolonialismo, in cui le culture entrano in relazione senza annullarsi.

Come ha dichiarato Prajapati all’inizio della residenza, “Il mio obiettivo è inserire una prospettiva indiana nella cultura materiale milanese, trasformando i suoi resti in opere essenziali che parlano di resilienza e di esperienza condivisa”. Un’intenzione che non si traduce in appropriazione né in sovrapposizione, ma in un gesto di ascolto da cui emerge una riflessione sul tempo, sull’equilibrio e sulla rigenerazione. Milano si delinea così come città-palinsesto; un luogo che conserva, assorbe, accoglie e restituisce. Dopo Jyot, mostra inaugurale di Roberto Rup Paolini ad Ahmedabad, Traces of Milan conferma lo scambio Italia-India come un terreno fertile in cui l’arte diventa pratica di attraversamento e strumento di negoziazione del presente.

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