Con Vizio di Forma è tornato al cinema Paul Thomas Anderson, il regista di The Master e Il Petroliere.
Los Angeles, 1970. Larry “Doc” Sportello (Joaquin Phoenix) è un detective privato, vive in una baracca a Gordita Beach, siede per terra e rolla spinelli. Shasta (Katherine Watherson, figlia dell’attore Sam), gambe lunghissime e sguardo da cerbiatta, si presenta a casa sua con un’inaspettata mise borghese e un una torva storia di tradimenti e di complotti.
Ora è l’amante del magnate immobiliare Mickey Wolfman (Eric Roberts), sposato con una donna che tenta di interdirlo per soffiargli il ricco patrimonio e proprio da questa donna le viene chiesto di essere complice di un tradimento.
L’itinerario del detective Sportello da questo momento in poi diventa un trip allucinogeno, camuffato e mescolato da noir californiano anni ’70.
È un film che confonde e richiede partecipazione come in un viaggio psichedelico dove le inquadrature sono occupate da un’ondata di personaggi ai limiti del surreale.
Il titolo originale, Inherent Vice,si riferisce alla “tendenza degli oggetti fisici a deteriorarsi a causa dell’instabilità fondamentale dei componenti di cui sono composti, in contrapposizione al deterioramento causato da forze esterne”. Si può dire che tale definizione si adatti perfettamente ai personaggi di Anderson, che si muovono in un determinato tempo e in un determinato luogo, destinati a svanire in un anello di fumo.
È il 1970, alla presidenza c’è Nixon che manda truppe americane nel Vietnam e la polizia alla Kent State University, mentre la generazione che ha utopisticamente cercato di cambiare le cose sta per estinguersi contro un nemico troppo potente.
Da spettatori non mettiamo in dubbio neanche per un momento la ricostruzione “andersoniana”: ci troviamo catapultati in un periodo storico da cui usciremo solo nel momento in cui il film sarà finito.
Come in un labirinto, confusi e offuscati dai fumi della marijuana, seguiamo “Doc” e cerchiamo con lui di sciogliere tutti i fitti misteri che si sommano alla scomparsa del magnate Wolfman e della giovane amante: il nero dei Fratelli Neri legato ai bianchi della Fratellanza Ariana, la moglie ex tossica che non crede alla morte del marito spia, cravatte dipinte con donne nude, fino ad individui con la svastica sul volto.
Lo affiancano in questa difficile impresa – ognuno a suo modo – la nuova fidanzata vice- procuratore distrettuale, l’avvocato trucido e ancora il detective Bigfoot con i suoi capelli a spazzola molto americani ossessionato da banane e salsicce con cui Doc ha un rapporto di violenza e protezione altrettanto sopra le righe. Come a dare un ordine al caos veniamo rassicurati dalla musicale voce fuori campo di Sortiliège, amica di Doc che sembra conoscerlo nei minimi dettagli.
Sono pochi i registi che possono permettersi Joaquin Phoenix, Josh Brolin, Owen Wilson, Benicio del Toro, Reese Witherspoon e Jena Malone in un stesso film.
Uno è sicuramente Paul Thomas Anderson che finalmente ci mostra il suo atteso Vizio di Forma con un adattamento piuttosto libero del omonimo romanzo scritto da Thomas Pynchon da cui è stato affascinato per un’innocenza che, a suo dire, non esiste più in America e che si è iniziata a perdere con lo sterminio firmato da Charlie Manson e i suoi seguaci.
Il risultato della maestria di Paul Thomas Anderson è un’energia corale che si alterna ad una specie di indolenza (che poi è la stessa del suo protagonista) sulle note dell’incredibile colonna sonora opera di Jonny Greenwood, chitarrista dei Radiohead.
Gli attori sono tutti indovinati e perfetti, a partire dal magnifico Joaquin Phoenix. Joaquin con la permanente afro e i sandali ai piedi (sempre terribilmente sporchi) dà vita ad un’infinità di splendidi balli sincopati, da solo o con gli altri protagonisti. Trasformista e malinconico, l’attore è capace di creare con lo spettatore un’immediata e irresistibile empatia.