Il gioco del caso. Il cinema di Robert Bresson, una retrospettiva integrale dedicata al regista francese.
Torino: Il Museo Nazionale del Cinema organizza – dal 3 al 28 aprile 2015 al Cinema Massimo – una retrospettiva integrale dedicata al regista Robert Bresson.
Tra i protagonisti della rinascita del cinema francese nel secondo dopoguerra, Robert Bresson è regista lucido e radicale nell’analisi della condizione etica dell’individuo. Privilegia i temi della grazia, della solitudine, della fede, che si oppongono a una modernità descritta come violenta e brutale. Il tutto con uno sguardo essenziale, asciutto, quasi documentaristico, ma di forte impatto emotivo.
Nato in un paesino della Francia centrale, Robert Bresson si laurea in Filosofìa alla Sorbona di Parigi.
Pittore, si accosta al cinema quasi per caso agli esponenti del surrealismo che lo convincono a riprendere le imprese del clown Beby nel cortometraggio Les affairs publiques (1932-34). Dopo più di un anno trascorso come prigioniero di guerra in un campo di concentramento tedesco, Bresson torna al cinema nel 1943 e firma il suo primo lungometraggio, La conversa di Belfort.
Segue l’anno seguente Perfìdia (Les dames du bois de Boulogne), tratto da un racconto di Diderot con i dialoghi di Jean Cocteau. Diario di un curato di campagna (premiato al Festival di Venezia nel 1950) tratto da Bernanos e Un condannato a morte è fuggito (1956, premio per la regia a Cannes per il quale viene considerato dai Cahiers du Cinema un fondatore della nouvelle vague), danno la giusta misura del suo stile: sceglie i suoi attori fra gente della strada (Pickpocket, 1959) e trasforma la storia in assunto morale (II processo di Giovanna d’Arco, 1960).
A metà degli anni Sessanta il regista conosce la sua massima fortuna grazie a Au hasard Balthazar e Manchette, anche questo premiato al festival di Cannes del 1967.
Si confronta poi con Dostoevskij in Così bella così dolce (1969) e Quattro notti di un sognatore (1971, tratto da Le notti bianche, lo stesso testo portato sullo schermo da Luchino Visconti).
Segue Lancillotto e Ginevra, terminato nel 1974 ma progettato in oltre 20 anni di studi, in cui la leggenda dei Paladini è filtrata dal repertorio visivo di Piero della Francesca. I suoi ultimi film furono, nel 1978 Il diavolo, probabilmente… e nel 1983 L’argent.
Si ritira definitivamente a vita privata negli anni Ottanta, dopo aver fallito il tentativo di trovare un produttore per il suo progetto di realizzare una pellicola dal Libro della Genesi.
Sul sito del Museo Nazionale del Cinema il calendario completo della rassegna.