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Guardando all’URSS. A Mantova una mostra sulle tracce del mito Sovietico in Italia

Aldo Borgonzoni Le mondine 1948 Olio su tela, cm 52,8 x 67 Suzzara (Mantova), Galleria del Premio Suzzara Aldo Borgonzoni Le mondine 1948 Olio su tela, cm 52,8 x 67 Suzzara (Mantova), Galleria del Premio Suzzara
Aldo Borgonzoni Le mondine 1948  Olio su tela, cm 52,8 x 67 Suzzara (Mantova), Galleria del Premio Suzzara
Aldo Borgonzoni
Le mondine
1948
Olio su tela, cm 52,8 x 67
Suzzara (Mantova), Galleria del Premio Suzzara

Un tuffo nel passato. Un viaggio attraverso la macchina del tempo in quell’Italia del dopoguerra che, salutato il fascismo, mitizzava l’Unione Sovietica. Succede alla mostra “Guardando all’URSS – Realismo socialista in Italia dal mito al mercato”, allestita a Palazzo Te a Mantova fino al prossimo 25 ottobre 2015.

Con un centinaio di lavori esposti, tra opere d’arte, testi letterari, racconti, guide, film, cataloghi e riviste, la mostra a cura di Vanja Strukeli, Francesca Zanella e Ilaria Bignotti, si propone di riflettere su come l’URSS veniva raccontata nel Belpaese. Erano gli anni di comunisti contro democratici, gli anni di Don Camillo e Peppone, quelli di “Dio ti vede e Stalin no!”. E se per metà degli italiani l’URSS rappresentava il demonio, per l’altra metà era il mito, il paradiso della giustizia sociale. La meta del pellegrinaggio laico, quello che Loreto di Nucci descrive nel suo saggio “I pellegrinaggi politici degli intellettuali in Italia”.

Ma quali immagini arrivano agli italiani, accanto ai manifesti pubblicitari diffusi dalla DC che dipingevano i russi come un popolo violento pronto ad assalire e impadronirsi dello Stivale?

Paolo Ricci Primo maggio 1949  Olio su tela, cm 99 x 69
Paolo Ricci
Primo maggio
1949
Olio su tela, cm 99 x 69

Lo raccontano le opere del Premio Suzzara, il concorso nato nel 1948 da un’idea di Dino Villani che invitava gli artisti italiani del filone realista a cimentarsi in una riflessione sul lavoro. Sono “Le mondine” neocubiste di Aldo Borgonzoni, le “Donne al lavoro” di Giuseppe Gorni, e ancora “Il tranviere” di Tiziana Fantini e “Le modiste” di Diana Luise Brancaccio ad aprire la mostra. Opere interamente dedicate al lavoro che fanno della città mantovana un intramontabile centro per l’arte realista, in decenni in cui la cultura figurativa veniva sempre meno.

Renato Guttuso Il boscaiolo 1950  Olio su tela, cm 93,2 x 73,8 Suzzara (Mantova), Galleria del Premio Suzzara
Renato Guttuso
Il boscaiolo
1950
Olio su tela, cm 93,2 x 73,8
Suzzara (Mantova), Galleria del Premio Suzzara

A Suzzara prende vita una vera e propria manifestazione artistica proletaria, un Premio in cui i vincitori portano a casa, oltre ad una piccola quota di denaro, prodotti agricoli e industriali, un concorso che secondo alcuni andava a delineare un nuovo linguaggio artistico nazionale e popolare, etichettandosi come il premio della pittura (neo)realista e frutto del PCI. “Ritratti di lavoratori, ambienti di lavoro, paesaggi con vedute di fabbriche e cantieri”: queste le indicazioni sul regolamento per la partecipazione al premio, e questi i temi che spiccano nelle opere in mostra, tra cui le bellissime tele “Il boscaiolo” di Renato Guttuso, e “Miniera” di Giulio Turcato.

Giulio Turcato Miniera 1948  Tempera su carta, cm 62,5 x 44,5 Suzzara (Mantova), Galleria del Premio Suzzara
Giulio Turcato
Miniera
1948
Tempera su carta, cm 62,5 x 44,5
Suzzara (Mantova), Galleria del Premio Suzzara

Il percorso espositivo della mostra continua con uno sguardo alle partecipazioni russe alle Biennali di Venezia, nel 1934 e dal 1956 al 1977. L’esposizione internazionale alla laguna è infatti la pista di atterraggio dell’arte internazionale in Italia e – spiegano le curatrici – analizzare gli artisti russi e le loro opere esposte diventa per noi oggi importante non solo per indagare sulle scelte culturali sovietiche, ma anche per andare a riscoprire le reazioni della critica italiana di allora.

Aleksandr Aleksandrovič  Dejneka  Corsa campestre femminile 1931 Olio su tela, cm 176,5 x 179  Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea
Aleksandr Aleksandrovič Dejneka
Corsa campestre femminile
1931
Olio su tela, cm 176,5 x 179
Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea

In mostra ammiriamo così la “Corsa campestre femminile” di Aleksandr Aleksandrovic Dejneka (Biennale 1934), “La figlia del soviet Kirghizia” di Semen Afanas’evic Cujkov (Biennale 1956). Il tema del lavoro torna nel “Ritratto di Subbotin” di Gravriil Nikitic Gorelov (Biennale 1956), mentre Sergej Visil’evic Gerasimov dipinge una marcia di soviet in “Potere ai soviet!” (Biennale 1958). Una selezione interessante che lascia tracciare all’osservatore le corrispondenze tra l’arte dell’URSS e il riflesso italiano del Premio di Suzzara, analizzando i punti di contatto e le distanze tra le due realtà geografiche, culturali, politiche.

“Guardando all’URSS” non si ferma però agli anni ’70, ma prosegue rispolverando la stampa, i manifesti, gli album di fotografie, le citazioni cinematografiche e molto altro confezionando una mostra che riflette sull’arte sovietica in Italia a 360°.

La figlia del soviet Kirghizia 1948 Olio su tela, cm 120 x 95 Mosca, Galleria Tret'jakov
La figlia del soviet Kirghizia
1948
Olio su tela, cm 120 x 95
Mosca, Galleria Tret’jakov

E, per concludere, a costituire un valore aggiunto è una selezione di opere provenienti dalla collezione privata di Gaia Fusai. Si tratta di una collezione incentrata sull’arte russa, una passione che Gaia Fusai racconta di avere scoperto agli inizi degli anni ’90, quando si accorse che tutte le repubbliche si erano rese autonome dall’ex Unione Sovietica e che i dipinti dei decenni precedenti erano scomparsi dai luoghi pubblici. Nacque così un’idea che col tempo divenne una vera e propria collezione, arricchita negli anni.

“Le opere che ho raccolto nel tempo – racconta – in ormai più di quindici anni, pur se realizzate su precisa indicazione e commissione dello stato e dei suoi dirigenti politici, rappresentano una preziosa testimonianza di umanità e di vita vissuta e sono state prodotte con un’eccellente e una sorprendente maestria d’esecuzione”.

Tair Tejmur ogly Salachov Ritratto di Kara Karaev 1960 Olio su tela, cm 121 x 203 Mosca, Galleria Tret'jakov
Tair Tejmur ogly Salachov
Ritratto di Kara Karaev
1960
Olio su tela, cm 121 x 203
Mosca, Galleria Tret’jakov

Tra le sue opere preferite, esposta nella collezione, Gaia Fusai cita “Infanzia felice” di Nakonecnyi, un’opera che esplicita che la felicità, intesa come momento di spensieratezza e leggerezza nel gioco dei bambini, viene garantita e sancita, in primis, dalla statua di Lenin. Il messaggio politico è forte, ma allo stesso tempo è reso con grazia e raffinata ironia.

La mostra è visitabile a Palazzo Te fino al prossimo 25 ottobre 2015.

Per maggiori informazioni clicca qui.

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