Da Ossi di seppia di Eugenio Montale
Debole sistro al vento…
Debole sistro al vento
d’una persa cicala,
toccato appena e spento
nel torpore ch’esala.
Dirama dal profondo
in noi la vena
segreta: il nostro mondo
si regge appena.
Se tu l’accenni, all’aria
bigiatreman corrotte
le vestigia
che il vuoto non ringhiotte.
Il gesto indi s’annulla,
tace ogni voce,
discende alla sua foce
la vita brulla.
Sembra di osservarle da lontano le sue statue. Così esili, così irriconoscibili. Giacometti ascolta la materia con un obiettivo ben preciso: cogliere l’essenza del tutto. Uomini e donne, non fa differenza. Volti ci sono, volti anonimi. Entrambi rappresentati attraverso ciò che li accomuna: scheletri che si corrodono con il trascorrere incessante del tempo. Figure estremamente allungate in altezza rispetto all’esile spessore: la solitudine le pervade, nel loro isolamento se ne scorge la fragilità. Una fragilità costitutiva, una fragilità inaggirabile.
Non c’è spazio, non c’è tempo. Eppure, non tutte le figure sono immobili: alcune sì, restano impassibili di fronte alla propria condizione; altre sembrano vagare alla ricerca di qualcosa di cui non paiono essere consapevoli. Un movimento senza sosta, ma senza una direzione precisa. Proprio qui, nell’assurdo e nel drammatico scorrere dell’animo di un uomo lungo le più truculente vicissitudini, troviamo una risposta circa la totalità che andava così ossessivamente indagando. Indaga un corpo che sfugge, interroga un uomo in sé fino in fondo incomprensibile. Non importa dove, importa che si muova, in avanti.
Si hanno dinnanzi degli scheletri, delle ossa. E proprio Montale, che con la sua penna si sforzava di comprendere la medesima verità, scrivendo a proposito di «ossa».
Ci si trova immersi in un’atmosfera priva di ogni riferimento. Una cicala isolata mostra al lettore il carattere di inanità e di precarietà di ogni espressione dell’io. Il mondo è lì, pronto a sgretolarsi, senza fondamenta. Non solo: le nostre movenze e le nostre parole condividono la stessa precarietà, sono anch’esse destinate a dissolversi, vittime del nulla. E la vita? Anche lei non si ferma, decadendo verso ciò che essa stessa ineluttabilmente è. Una vita arida, una vita «brulla». Aspira ad ascendere, ma la contraddizione la insedia.
Parola e materia, spirito e corpo s’intrecciano sinergicamente in queste opere. Non vi è precedenza di una delle due, anzi. Decisiva è la dedizione all’esistenza, quale fenomeno unico che stupisce e che continuerà a meravigliare senza che se ne possa trascurare alcuna dimensione. Spirito e corpo si configurano quindi come le fonti delle incessanti ricerche dei due grandi maestri, impensabili separate. L’uomo.
Qua l’approfondimento: Intrecci tra filosofia e pittura. Heidegger incontra il mondo agreste di Van Gogh