Viareggio. Il 23 novembre Villa Argentina aprirà le sue meravigliose porte liberty dopo 30 anni di abbandono. Esempio di Art Noveau italiano – che mostra sulla facciata una delle più significative pannellature in ceramica realizzata da Galileo Chini – Villa Argentina viene restituita alla città come edificio pubblico, spazio aperto per iniziative, mostre e incontri. Un restauro durato 14 anni e costato quasi 8 milioni di euro.
Dapprima abitazione privata, poi pensione per le vacanze estive, l’edificio, dislocato su tre piani per un totale di 1650 metri quadrati, dagli anni Ottanta versava in uno stato di abbandono e degrado che pareva senza ritorno. Così, però, non è stato e questo grazie all’Amministrazione provinciale che da gennaio scorso si è decisa a recuperare tredici anni di ritardi e rinvii.
Il principio che sta alla base del processo di recupero è quello della restituzione alla comunità e di questo parla, ad esempio, anche il protocollo d’intesa che la Provincia di Lucca ha firmato con altre realtà del territorio per garantire la massima apertura e valorizzazione della struttura, mettendo a punto anche un programma di iniziative che proseguirà per tutto l’inverno.
Si comincia il 6 dicembre con la mostra dedicata alla Prima guerra mondiale. “La Grande Guerra di Lorenzo Viani. Viareggio-Parigi-Il Carso. Pittura e fotografia della Grande Guerra in Lorenzo Viani e Guido Zeppini”, questo il titolo del percorso espositivo. Nell’anno del centenario dallo scoppio del primo conflitto mondiale, Viareggio celebra i suoi 381 caduti, dedicando loro un allestimento inedito del maestro indiscusso dell’espressionismo italiano.
Le opere, alcune delle quali mai esposte fino ad oggi, verranno affiancate dalle fotografie di Guido Zeppini, medico e fotografo dal fronte.
Breve storia di Villa Argentina
Il primo progetto di edificazione di Villa Argentina si può collocare tra il 1920 e il 1924, quando la proprietaria Francesca Racca Oytana presenta la richiesta per la costruzione di un piccolo fabbricato. Nel 1925 viene acquistato dal viareggino Raffaello Panelli il lotto che separava Villa Argentina dalla pineta e, nello stesso anno, sempre Panelli presenta la domanda per costruire un edificio a uso residenziale su progetto di Francesco Luporini. Questa nuova costruzione avrebbe però relegato Villa Argentina in uno spazio angusto facendole perdere il suo rapporto privilegiato con la Pineta: fu probabilmente questa considerazione a convincere Francesca Racca Oytana ad acquistare anche l’altro lotto presentando nel 1926 un progetto di variante che prevedeva un notevole ampliamento della Villa, citata per la prima volta in questa occasione col nome di “Villa Argentina”, in onore della terra di provenienza della proprietaria.
Risale a questo periodo l’intervento di Galileo Chini, celebre artista e maestro delle maioliche che inserirà sulla facciata una magnifica copertura in ceramica.
Un ulteriore ampliamento avvenne nel 1939 quando la baronessa Arborio di Sant’Elia, figlia della Oytana, completerà la costruzione della torretta, progettata da Alessandro Lippi. Quest’ala della casa è priva di abbellimenti ceramici anche a causa delle direttive del Fascismo, che imponeva di costruire seguendo i dettami del razionalismo. Nel 1940, a seguito dell’ampliamento, viene modificata l’impostazione al piano terra della scala principale, girando l’accesso verso il muro di fondo e rendendo così indispensabile la collocazione della grande specchiera. Allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, Villa Argentina si presenta col suo aspetto attuale. Esce intatta dalla guerra e torna ad essere utilizzata dai proprietari fino agli anni Cinquanta, quando diventa una pensione: interventi di riorganizzazione interna portano a una diversa divisione degli spazi, con camere e servizi, lasciando però invariato il grande salone al piano terra. Negli anni Ottanta, dopo la chiusura della struttura alberghiera, la Villa viene lasciata in un grave stato di abbandono.
Nel 1989 l’edificio è stato posto sotto il vincolo del Ministero dei Beni Culturali in seguito alla paventata ipotesi dei proprietari di trasformarlo in una serie di appartamenti.
Il valore artistico della Villa
Dalla vetrata con lo stemma e il monogramma dei Conti di Sant’Elia al pavimento dell’ingresso dell’area nobile in marmo nero del Belgio, rarissimo, lucidato a specchio. Dagli stucchi monumentali sotto le balconate esterne agli stucchi floreali a foglia d’oro del soffitto del salone. Dai pavimenti in prezioso seminato alla veneziana, a piano terra e al primo piano, alle ringhiere delle scale riportate al colore originario, argento invecchiato, che fa da contrasto con le pareti di rosso pompeiano. E ancora le maioliche dipinte di Galileo Chini, cotte nelle Fornaci di Borgo San Lorenzo, magistrale esempio di Liberty, sintesi perfetta tra l’Art Nouveau e la Secessione viennese di Klimt. Villa Argentina è la rappresentazione ideale della Viareggio modernista: inserita in una città costellata di edifici Liberty, dove l’Art Nouveau e le sue decorazioni cesellate e colorate accompagnano lo sguardo attraverso tutto il Lungomare, la Villa è un esempio lampante e unico dell’importanza e della meraviglia dell’arte dei primi del Novecento.
La facciata. Risale al 1926 l’opera di Galileo Chini sulla facciata di Villa Argentina, che utilizza diversi repertori decorativi assemblandoli insieme, alternando elementi geometrici e figurativi con le suggestioni secessioniste, con citazioni orientaleggianti e neorinascimentali di matrice fiorentina. Le fasce che ornano il sottogronda sono costituite da ampie superfici piastrellate che incorniciano fanciulli che sorreggono ghirlande vegetali ornate di frutti e disegni stilizzati di alberi della vita. Quasi tutta la porzione superiore della Villa è rivestita da pannelli ceramici eterogenei: disegni a scacchiera di matrice geometrica di colore verde e oro con altri decorati con cesti di frutta, accostati a piastrelle con uccelli e grappoli d’uva fra tralci e fogliame, decorazione che celebra la leggenda di Zeus, tema già adoperato da Galileo Chini nel 1909 per ornare la parte sottostante dei dipinti della cupola alla Biennale di Venezia. In questo periodo i modelli decorativi elaborati sono comunque prevalentemente ripresi dall’arte classica, come i putti, i festoni e le ghirlande. I pannelli, composti geometricamente, risentono dell’influenza di Klimt, che si ritrova nelle spirali, nei cerchietti e nei triangoli o anche nell’utilizzo di schematici motivi floreali. L’insieme richiama la cultura orientalista, ampiamente sperimentata tre anni prima alle terme Berzieri di Salsomaggiore, qui ricondotta a una tipicità toscana attraverso i motivi tradizionali delle maioliche del Rinascimento fiorentino.
Gli interni. La grande sala da ballo del piano terra, dove il soffitto e le pareti sono interamente decorate con stucchi dorati in mecca d’argento che si rispecchiano nel lucente pavimento in marmo nero del Belgio, ospita il monumentale trittico dipinto su tela da Giuseppe Biasi (Sassari 1885 – Andorno Micca 1945) e incastonato fra gli stucchi nella parete di fondo del salone che raffigura un matrimonio persiano. Nel 1930 il pittore terminò la sua opera per i Conti di Sant’Elia, all’epoca proprietari della Villa. A fianco di quest’opera trovano spazio il “Ritratto di famiglia”, due pannelli con suonatrici e altre tre tele raffiguranti paesaggi esotici. Il razionalismo fascista, invece, è ben visibile nella struttura della sala da pranzo, collegata alle cucine, in cui sono stati recuperati i lavabi originali, da corridoi segreti, che all’epoca rendevano la servitù invisibile agli ospiti.
Il giardino. All’esterno la Villa è completata da un grazioso giardino di impronta esotica in perfetto accordo con l’architettura e la decorazione dell’edificio: allestito in uno spazio minuscolo e organizzato in aiuole fiorite con cespugli tipici dei giardini di inizio secolo. Al centro delle aiuole campeggiano rare piante di origine sudamericana: l’Erythrina crista-galli, detta anche albero dei coralli, il cui fiore è il simbolo dell’Argentina.