“Già vivo al guardo la tua man pingea un che in nebbia m’apparve all’intelletto: altra or fugace e senza forme idea timida accede all’alto tuo concetto: lieto l’accogli, e un immortal ne crea di meraviglia e di pietade oggetto; mentre aver sol potea dal verso mio pochi giorni di spregio, e poi l’obblio”
A. Manzoni, Al signor Francesco Hayez
Oppressioni. Lotte.
Tumulti. Rivoluzioni.
I Moti Rivoluzionari del 1820/21 e del 1848 segnano due tappe decisive del tortuoso viaggio che ha condotto all’unità d’Italia. Ci troviamo nel bel mezzo della sua storia, quando per la prima volta un sentimento di identità nazionale comincia ad infuocare l’animo del popolo. Il mondo dell’arte svolse, ovviamente, un ruolo fondamentale.
Due vati della Nazione. Due amici. Hayez e Manzoni, pennello e penna, iniettarono nello spirito degli italiani un nuovo modo di sentire attraverso raffigurazioni d’eroismo disincantato. Uomini centrali della cultura, specialmente politica, vengono da loro descritti e mostrati in un’aura di splendente esemplarità.
Soggetti da seguire e soggetti da evitare, comunque sia, in grado di stimolare gesta extra-ordinarie tramite movimenti di attrazione o repulsione.
La scelta artistica è, tuttavia, piuttosto singolare. Gran parte dei personaggi ritratti terminarono l’esistenza tragicamente, quasi come se la morte, per loro, fosse un drammatico sacrificio necessario per un bene superiore.
“O padre,
Tanto non chiede il mio dolor; l’obblio
sol bramo; e il mondo volentier l’accorda
agli’infelici”
Ermengarda al padre Desiderio, Adelchi
La regina Maria Stuarda e il doge Marin Faliero.
Nel dipinto del 1827 troviamo una donna mirabile, esempio di tolleranza politica e di sincera devozione alla religione cattolica, condotta al patibolo essendo stata ritenuta colpevole di tradimento nei confronti della Regina Elisabetta I d’Inghilterra, sua cugina. Non lontano dalla mente della gente è l’immagine del Calvario di Cristo, che il pittore veneto decide qui di richiamare implicitamente per approfondire la vicinanza delle sue tele con uno degli elementi centrali della cultura italiana, e non solo.
Gli ultimi momenti del doge Marin Faliero sulla scala detta del piombo narra la vicenda di Faliero appunto, che partecipò attivamente alla congiura riservata al futuro doge della Repubblica di Venezia. L’istante scelto descrivei suoi ultimi momenti di vita prima di essere condannato a morte dopo la scoperta del misfatto: un insegnamento per i futuri dogi, un insegnamento per i futuri reggenti dello Stato.
Hayez ritrae così eventi da imprimere nella memoria, azioni che drasticamente modificarono il corso della storia.
“Soffri e sii grande: il tuo destino è questo,
finor: soffri, ma spera: il tuo gran corso
comincia appena; e chi sa dir, quai tempi,
quali opre il cielo ti prepara”
Lo scudiero Anfrido ad Adelchi, Adelchi
Adelchi, figlio di Desiderio, re dei Longobardi.
Eroe lacerato. Tenace avversario dei giochi di potere, insofferente nei confronti della corruzione, tristemente si volge dinnanzi al sangue versato. Spera di poter vincere una guerra che mai avrebbe voluto combattere, sporca con onore l’integrità della sua coscienza. Nonostante la necessità delle sue scelte, nonostante la grandezza dei suoi valori, finirà tragicamente ucciso dal nemico francese, re Carlo. Quasi che qui, in questo mondo, non ci sia giustizia; quasi che la sofferenza non trovi altro rimedio che la morte.
“Dagli atrii muscosi, dai Fori cadenti,
dai boschi, dall’arse fucine stridenti,
dai solchi bagnati di servo sudor,
un volgo disperso repente si desta;
intende l’orecchio, solleva la testa
percosso da novo crescente romor.
Dai guardi dubbiosi, dai pavidi volti,
qual raggio di sole da nuvoli folti,
traluce de’ padri la fiera virtù:
ne’ guardi, ne’ volti confuso ed incerto
si mesce e discorda lo spregio sofferto
col misero orgogli d’un tempo che fu”
Coro dell’Atto Terzo, Adelchi
Cosa salva? Un bacio.
L’artista de Il Bacio coglie magistralmente l’istante in cui un ragazzo in procinto di fuggire, probabilmente braccato o richiamato alle armi, stringe fra le braccia la sua amata, piacevolmente abbandonata nel calore del suo abbraccio. Un saluto. Che sia l’ultimo?
Cosa salva? Un’intima confessione.
L’autore de I Promessi Sposi, al termine della tragedia, consegna l’immagine d’amore di un figlio morente che saluta il padre poco prima di abbandonarlo. Combattente fedele, uomo di grandi desideri. Se ne va, lasciando in testamento un futuro senza tinte.
Che il destino si scriva, nonostante tutto ciò che porta con sé! Nel fuoco della passione, che sia d’amore, che sia per gli ideali, che sia passione per la passione, si riaccende l’inesausta speranza che un’incredibile novità si possa innestare nella storia.
“Adelchi è una anima che soffre, e soffre non già dell’impotenza della sua mente, dei difettivi dei suoi sillogismi, ma della ricchezza delle sue forze morali, della finezza del suo sentire”.
B. Croce, Un personaggio poetico a torto disconosciuto: Adelchi
“Adelchi una Musa ce l’ha, perché sembra che sia Dio a soffiargli nelle orecchie e nel cuore titanismo e passione”.
Carmelo Bene